Viterbo – Lettera minatoria all’ex direttrice del carcere di Mammagialla, toccata&fuga davanti al giudice Gaetano Mautone del boss della ‘ndrangheta Leone Soriano, 52 anni, capo dell’omonima ‘ndrina di Filandari, nel Vibonese.
Il boss della ndragheta, scortato dagli agenti della penitenziaria, è comparso ieri mattina davanti al magistrato del tribunale di Viterbo per una lettera di minacce fatta pervenire cinque anni fa all’allora direttrice del supercarcere sulla Teverina, Teresa Mascolo, dove è stato detenuto in regime di 41 bis.
L’accusa ha chiesto l’acquisizione tra le prove della missiva, che il capo clan non ha disconosciuto, ma per la quale ha detto di essersi scusato nell’immediatezza con la stessa responsabile dell’istituto di pena, mostrandosi pentito e stupito di essere finito sotto processo.
Il giudice, acquisendo la lettera di minacce, ha sollecitato la testimonianza della vittima, Teresa Mascolo, che sarà sentita per prima dall’accusa all’udienza fissata per il prossimo 4 dicembre, giorno in cui il giudice, intenzionato a chiudere velocemente il processo, ha fissato anche la sentenza.
I fatti risalgono a cinque anni fa quando, tra l’8 e il 9 novembre 2013, Soriano, detenuto nella sezione di massima sicurezza del carcere di Viterbo, tentò di togliersi la vita in cella, realizzando un cappio con le lenzuola e appendendolo alle sbarre.
Ai tempi del tentato suicidio a Mammagialla, i difensori Diego Brancia e Salvatore Staiano, ieri sostituiti dall’avvocato Marina Bernini del foro di Viterbo, avevano già inoltrato una richiesta di revoca del regime del carcere duro al ministro dell’interno Angelino Alfano. Dopo la relazione della Polizia Penitenziaria al tribunale di Vibo Valentia, chiesero la nomina di un perito medico legale per verificare la compatibilità delle condizioni di salute del boss con la detenzione in carcere.
Trasferito poi nel carcere campano di Secondigliano, Soriano, una volta scarcerato, avrebbe organizzato, lo scorso 5 febbraio, l’incendio di un escavatore dell’imprenditore che aveva contribuito a farlo arrestare nell’ambito dell’operazione “Ragno”, ovvero l’inchiesta della Dda che, portando alla luce una serie di estorsioni e attentati con bombe e colpi di pistola a opera della cosca Soriano, lo aveva condotto a Mammagialla.
Fatto sta che Soriano l’8 marzo scorso è finito di nuovo in carcere, in seguito a un’operazione che ha coinvolto anche altri membri della sua famiglia per reati legati alla detenzione di armi e droga, estorsione e minacce.
Il boss, in particolare, mentre si trovava ancora nel carcere di Secondigliano, avrebbe inviato alcune missive dal carattere intimidatorio (una recapitata il 31 gennaio 2017 e una l’11 maggio 2017) all’imprenditore, a titolo “risarcitorio per le spese legali sostenute a seguito delle denunce sporte” poi sfociate nell’operazione antimafia “Ragno”.
E sempre per una lettera minatoria è sotto processo a Viterbo, con l’aggravante della minaccia a pubblico ufficiale.
Silvana Cortignani
tusciaweb