Aumentano i procedimenti (521 mila nel settore civile, due milioni e mezzo in quello penale) ; il carico di lavoro non riesce ad essere smaltito, i tremila cancellieri che se ne sono andati hanno dato il colpo di grazia - Dice Zagari: "Non è certo con un decreto che intendiamo agire. Bisogna varare la riforma penale: una decisa svolta democratica per il Paese".
Il ministero di Grazia e Giustizia alla vigilia di Pasqua appare come un vecchio monumento: al pianterreno tra stanzoni d'archivio e l'ascensore di servizio lo sguardo cade su un mosaico pavimentale che ha al centro un variopinto fascio littorio. La giustizia è ferma nel tempo? Oggi gli uffici sono vuoti, lavora solo il ministro, Mario Zagari, socialista. Questa notte sono entrate in vigore le nuove norme della carcerazione preventiva, che anticipano una consistente riforma penale. Zagari ha in progetto una « terapia d'urto » globale per fare uscire il nume della giustizia dalla palude dove si è arenato.
Ci riceve per chiarirne i punti fondamentali, per parlarne apertamente. Qualcosa si muove: Zagari ha reso ai membri del governo, al presidente del Consiglio e al Capo dello Stato, in più riprese, un quadro globale allarmante; da tempo insiste perché il problema venga affrontato di petto e non aggirato. «E' solo attraverso una scelta democratica — dice — che si può riprendere il cammino: il dettato costituzionale prevede tutte le riforme che vogliamo fare. Dobbiamo muoverci bene e in tempo. Non è certo con un decreto ministeriale che intendiamo agire. Le nuove norme della carcerazione preventiva sanano una situazione precaria che va cambiata. Sono modificabili in tempi brevi. Se continueremo a lavorare a pieno ritmo in un anno si potrà varare la riforma penale: una decisa svolta democratica per il Paese».
5000 posti
Il ministro Zagari ha fatto uno schematico rapporto della crisi del settore. Il flusso annuale dei procedimenti sale costantemente. Nel settore civile si è passati da 404 mila nel '61 a 521 mila nel '72; per 11 penale da 2 milioni 186 mila a quasi due milioni e mezzo. Il carico di lavoro non riesce ad essere smaltito. L'incidenza dei procedimenti pendenti che era sotto al 50 per cento nel '61 si aggira ormai intorno ai due terzi del complessivo nel settore civile; per il penale la situazione non si è aggravata di molto in ragione solamente della depenalizzazione e delle ricorrenti amnistie. In totale si passa da 985 mila procedimenti civili a 1490 mila e da 3 milioni 91 mila a 3441 mila penali all'anno. «L'esodo dalla pubblica amministrazione ha messo in gi nocchio il settore della giustizia. I tremila cancellieri che se ne sono andati hanno creato enormi buchi nella realtà dei nostri uffici giudiziari. Ho detto al governo che occorre prendere atto di una situazione che non sopporta più alcun rinvio e far convergere tutte le sedi di responsabilità in un impegno congiunto di salvataggio: facendo del problema della giustizia non un settore di istituzionale "furberia del disimpegno", ma un settore di comune lavoro e di comune responsabilità».
— Lei ha proposto una «terapia d'urto», con quale priorità d'intervento? «La riforma del codice penale è già molto avanti. Il libro primo è stato già varato dal Senato ed è in commissione alla Camera. Entro la settimana che si apre dovremo varare l'ordinamento penitenziario: una "legge quadro" che ci mette al passo con le società europee più avanzate. Umanizzazione della pena e regolamentazione moderna. Stiamo svolgendo una indagine accurata della situazione dei vari istituti. Il problema è anche edilizio ma non possiamo affiancare nuove e moderne costruzioni alle vecchie prigioni. Connesso è il problema del personale che è oggi scarso e non specializzato. Non nascondiamocelo: gli agenti di custodia provengono da casi di povertà; nelle carceri hanno paura di tutto; devono affrontare un orario di lavoro massacrante. L'ipotesi è quella di alimentare l'organico di mille unità; contemporaneamente immettere assistenti sociali in numero sufficiente».
— Si parla di un forte incremento di personale, cancellieri e segretari; di ristrutturazione delle circoscrizioni giudiziarie; di riforma dell'ordinamento giudiziario e di quella del diritto di famiglia. Sono altri settori su cui l'intervento è «improrogabile». Ma allora si tratterà di tappare le falle aperte o di un intervento globale? «Dobbiamo fare l'uno e l'altro, naturalmente. Ci troviamo di fronte ad un campo devastato, alluvionato. Ma guardiamo ad una globalità di lavoro. La riforma del diritto di famiglia è passata dalla Camera al Senato. Riprenderemo a 'metà maggio. Vorrei ripetere a questo punto che il decreto sulla carcerazione preventiva lo abbiamo dovuto presentare d'urgenza perché i tempi tecnici e la pausa per il referendum non ci permettevano altro. Ma c'è stata una unanime approvazione e il consenso di tutti. Prima di presentarli, abbiamo avuto un largo scambio di vedute in Parlamento. E il Parlamento ha appoggiato la nostra azione ».
Zagari passa poi ad argomenti più tecnici: «Penso che la cifra di 5000 nuovi posti di funzionari sia quella esatta. Abbiamo fatto il primo concorso, solo orale, per i segretari: dovrebbero entrare in duemila. Poi c'è da recuperare i cancellieri fuggiti con l'esodo. Dobbiamo snellire le strutture. Ci sono preture inutili e vuote che vanno tagliate come rami secchi. Dobbiamo ridare fiducia all'opinione pubblica che esige giustizia».
20 miliardi
— Esiste per tutto questo un preventivo di spesa? Lo Stato sopporterà i costi? «Devo ancora incontrarmi con il collega del Tesoro e con quello della Riforma burocratica. La spesa oscilla tra i 10 e i 20 miliardi, diciamo 15: non è eccessiva. Soprattutto farebbe risparmiare allo Stato il denaro che oggi spende, di volta in volta, per rattoppare dove si rompe. Risolviamo a monte il problema e non alla foce. Noi subiamo continui attacchi da chi spinge l'acceleratore sul tema criminalità; parla di permissività del sistema. La criminalità esiste e va combattuta. Guardi alle carceri: appare ovvio che non si possono mettere insieme un giovane al primo furto e un rapinatore di professione; chi ha rubato poche lire con un criminale. Eppure questi principi, spesso, non vengono applicati. Le carceri diventano l'università della delinquenza, non redimono e non reinseriscono nella società civile».
— L'opinione pubblica è sconcertata da avvenimenti clamorosi: dichiarazioni di alti magistrati, inchieste spiate, processi bloccati. Si parla di insabbiamento e di avocazione; si ironizza sui lavori della commissione parlamentare inquirente che sta indagando sullo scandalo dei petroli e sulla Montedison; il mondo della magistratura sembrerebbe diviso da correnti interne, controllato dall'esterno, sfiduciato, apparentemente limitato nell'autonomia e nell'indipendenza di giudizio. Quando lei parla di crisi della giustizia fa riferimento alla crisi delle strutture. C'è forse qualcos'altro? «Credo che tutto quello che lei dice è anche frutto di un certo modo di drammatizzare gli avvenimenti e di esasperarli. Ma quando il sistema non è dinamico tutto entra in crisi. La giustizia per prima. Per questo, perché II sistema non crolli, è alla crisi della giustizia che dobbiamo guardare con preoccupazione; e operare con prontezza».
La Stampa 14 aprile 1974