I debiti non vengono cancellati quando il boss viene catturato. E proprio dal carcere di Marassi, secondo quanto scoperto dai carabinieri, Onofrio Garcea ha continuato a impartire ordini per gestire i prestiti a usura e chiedere pagamenti ai clienti taglieggiati. Quegli ordini venivano impartiti al figlio Davide, incaricato di andare a «recuperare crediti vantati dal padre», direttamente dalla sala colloqui del penitenziario. Fra le vittime, una coppia di commercianti del Ponente, che hanno accumulato debiti anche acquistando cocaina.
È questo il punto di partenza che conduce i carabinieri del nucleo investigativo genovese, coordinati dal sostituto procuratore Federico Manotti e dai colonnelli Alberto Tersigni e Paolo Sambataro, alla scoperta di una nuova organizzazione, che negli anni dei grandi arresti di criminalità organizzata (a partire dal 2010) è diventata monopolista nella rotta di hashish (ne porta a tonnellate e di altissima qualità) che collega Nordafrica e Italia via Spagna.
Si tratta di un vero e proprio cartello che rivendeva lo stupefacente ai clan siciliani e pugliesi.
E che al vertice ha un personaggio, tutt’ora latitante, già emerso nelle inchieste sulla ’ndrangheta fra Liguria e Piemonte: si chiama Vittorio Raso, e viene definito come vicino al clan Raso-Gullace-Albanese, famiglia calabrese radicata tra Savona, Genova, Alessandria e Torino. Raso, latitante sfuggito finora alla cattura, era stato implicato in passato in un’inchiesta per estorsioni a discoteche di Torino, da parte di gruppi calabresi.
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