Il magistrato Giuseppe Di Gennaro, scomparso tre giorni fa senza lasciare traccia, è stato rapito. Lo nascondono in una prigione segreta i “Nap” (Nuclei armati proletari), una organizzazione clandestina che si colloca all'estrema sinistra dei gruppi extraparlamentari.
La notizia, clamorosa, è giunta a Roma verso le 22, da Viterbo: nelle carceri della città laziale, un po' dopo le 20, era esplosa una rivolta. Alcuni uomini, armati e in possesso di ordigni esplosivi, avevano ferito due guardie e avevano preso un ostaggio. Poco dopo, i rivoltosi facevano giungere alla direzione del carcere una foto di Giuseppe Di Gennaro, ammanettato (una “Polaroid” a colori), un testo ciclostilato (Firmato “Nap”) e un nastro magnetico su cui era incisa la voce del giudice.
La rivolta è stata improvvisa: tre detenuti hanno fatto esplodere nel settore delle celle di isolamento una bomba ad alto potenziale, forse a base di dinamite. Subito dopo i tre reclusi hanno sparato alcuni colpi d'arma da fuoco contro le due guardie carcerarie accorse verso il punto dell'esplosione. Due agenti, un sottufficiale ed una guardia carceraria, sono rimasti gravemente feriti. Un terzo agente che li seguiva è stato immobilizzato dai carcerati, che lo hanno trattenuto come ostaggio. Dopo la sparatoria, uno dei reclusi ha gettato dalla finestra della cella di isolamento la foto del giudice romano, nella quale il magistrato appare con la barba incolta e con le mani incatenate. Insieme con la foto, è giunto nel cortile del carcere un foglio in ciclostile nel quale i “Nap” rivendicano la paternità del gesto e avanzano richieste.
Verso le 22, una donna ha telefonato al direttore del carcere: “Devono essere accettate tutte le richieste dei Nap altrimenti il magistrato Di Gennaro sarà ucciso”. Per tre volte ha letto la stessa frase e poi ha riattaccato. Contemporaneamente a Roma una telefonata all'Ansa avvisava che in una cabina telefonica, vicino a Piazza S. Pietro, i Nap avevano lasciato un messaggio. Sul posto è andata la polizia. C'era una foto di Di Gennaro, a colori, ammanettato, e un nastro registrato. E' stata avvertita subito la famiglia del giudice. Dopo pochi minuti, ancora da Viterbo i Nap si facevano vivi con un foglio scritto in modo sgrammaticato: chiedevano la presenza nel carcere degli avvocati, del foro di Roma, Tommaso Mancini, Carlo Rienzi, Giuliano Vassalli e Edoardo Di Giovanni. Ancora mezz'ora e i rivoltosi si specificavano di non aver chiesto l'avvocato Di Giovanni. Il funzionario dell'ufficio politico, Macera, rintracciava Mancini e Vassalli, che partivano per Viterbo su un'auto della polizia. Alle 23,30 si viene a sapere che sul nastro registrato, lasciato in una cabina telefonica, è incisa la voce di Giuseppe Di Gennaro. Con voce emozionata il giudice dice: “Mi i rivolgo a mia moglie e ai miei I figli. Non preoccupatevi della mia salute e abbiate fiducia nella giustizia. Non credete alle cose che sono state scritte sul mio conto. Restate sereni e al ritorno darò tutti i chiarimenti. Tutti facciano quello che si può fare".
Nella parte del messaggio, che non è stata resa nota, il magistrato fa accenno al governo e ai colleghi Beria d'Argentine, ex capo di gabinetto del ministero di Grazia e Giustizia, al procuratore della Corte di Cassazione, Colli, e ad Altavista, direttore generale degli istituti di prevenzione e pena.
Fino a questo momento i Nap non hanno fatto sapere quali sono le loro richieste, ma si presume che chiedano la scarcerazione di alcuni membri dell'organizzazione eversiva. I Nap (Nuclei armati proletari) sono il gruppo eversivo di più recente costituzione. La loro data di nascita è legata al sequestro dell'industriale cementiero di Napoli, Giuseppe Moccia. Lo rapirono il 18 dicembre del '74 con uno stratagemma: posero falsi segnali stradali di senso obbligato e l'industriale finì nella trappola.
Chiesero un miliardo di riscatto e l'ottennero dopo quattro giorni. Il 22 dicembre, Moccia fu liberato. Allora nessuno pensava che la cifra dovesse servire per la costituzione di una banda armata a Napoli, che si sarebbe dovuta espandere in tutt'Italia, in particolare a Torino. la sigla Nap fu usata per una serie di attentati nelle carceri all'inizio di quest'anno. Poi ci fu l'azione di De Laurentis a Roma. Lo scoprirono perché gli attentati che stava preparando contro automezzi della polizia non scattarono. Condannato per direttissima a 10 anni, fu trasferito di recente dalle carceri romane a Viterbo.
Il clamore sui Nap si levò da Napoli l’11 marzo scorso quando in un appartamento trovò la morte lo studente Vitaliano Principe. Fu scoperta una centrale terroristica e con le armi e gli esplosivi c'erano decine di milioni del sequestro Moccia. Alfredo Papale, rimasto ferito nella confezione di un pacco esplosivo, si trova in carcere a Poggioreale (Napoli). I Nap furono considerati gli autori dell'attentato dinamitardo contro l'auto del magistrato De Matteo e del tentativo di uccidere l'avvocato missino Manzo. (I due fatti avvennero a Roma nei mesi scorsi). Le inchieste portarono all'identificazione di molti estremisti: Gentile Giovanni Schiavone, 26 anni; Pier Domenico Delle Veneri, napoletano; Aldo Manco, 20 anni, Pietro Sofia e i fratelli Pasquale e Nicola Abbatangelo. Alcuni di questi sono detenuti, altri latitanti e ricercati.
Da quanto si riesce a capire ci sarebbero trattative in corso nel carcere di Viterbo tra i terroristi e la direzione. Il procuratore della Repubblica non ha voluto fornire particolari: si presume che i Nap chiedano la libertà per alcuni di questi arrestati. La “ideologia” del gruppo che dice di non essere legato alle “Brigate rosse” è quella della violenza per sovvertire l'ordinamento delle istituzioni repubblicane, con la lotta armata, fomentando rivolte nelle carceri e nelle caserme, contro partiti politici, procurandosi il denaro per queste azioni terroristiche con rapine e sequestri di persona. Furono i Nap a tentare una rapina a Firenze. In quella circostanza due di loro furono uccisi dai carabinieri.
Tutti credevano che Giuseppe Di Gennaro fosse scomparso in circostanze misteriose e, proprio questa sera, l'ipotesi di un rapimento, sia politico che per soldi, stava per cadere definitivamente. Poi, il colpo di scena. Le drammatiche notizie dal carcere: la rivolta e il sequestro del magistrato, che si è sempre occupato di problemi carcerari, rivendicati dai Nuclei armati proletari. A notte alta le trattative tra i rivoltosi e le autorità giudiziarie sono ancora in corso. Sono arrivati gli avvocati richiesti dal gruppo. Le condizioni delle due guardie ferite nella sommossa restano gravissime: si teme per la loro vita, come per quella dell'unico ostaggio.
Il comunicato dei "Nap"
A mezzanotte e ventuno minuti è giunta al centralino dell'Ansa la telefonata di uno sconosciuto, che ha detto: “E' il "Nap". Nella cabina telefonica di piazzale Flaminio per Di Gennaro”. Nel luogo indicato c'era un documento dattiloscritto recante al centro una stella a cinque punte con la falce e il martello. In alto a sinistra, scritto con caratteri maiuscoli: “Comunicato n. 1”. Ecco il testo: “Il giorno 6-5-75, alle ore 22,45, un gruppo di compagni ha fatto prigioniero Giuseppe Di Gennaro, consigliere di Cassazione, direttore dell'ufficio X della direzione generale degli istituti di prevenzione e di pena del ministero di Grazia e Giustizia, organizzatore e direttore del centro elettronico di calcolo dell'amministrazione penitenziaria, strumento del potere per la schedatura ed il controllo sempre più efficiente di ogni singolo proletario detenuto. “Da 10 anni al servizio della repressione di Stato in funzione antiproletaria, Di Gennaro svolge un ruolo di copertura al quotidiano massacro che il potere perpreta all'interno delle sue carceri contro i proletari, affiancando il paternalismo più schifoso, all'aperta attività di coordinamento di tecnici e teorici del perpetuamento e rafforzamento efficientista delle strutture carcerarie a livello nazionale ed internazionale, quasi sempre con l'appoggio della U.n. s.d.r.i. (Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per la difesa sociale). Tutto questo è stato confermato dagli interrogatori cui è sottoposto. “Il sequestro di Di Gennaro rappresenta un momento di forza per il proletariato detenuto ed ha permesso ad un gruppo di compagni reclusi all'interno del carcere di Viterbo di attuare un'azione armata che attualmente alle ore 23 del giorno 9-5-75 vede questi compagni barricati con degli ostaggi. La libertà provvisoria del fedele servo Di Gennaro è strettamente legata alla incolumità fisica dei compagni e all'accoglimento di tutte le loro richieste. Il potere si è immediatamente scatenato. Da Roma alle ore 22,50 è partita una compagnia di 75 uomini con una fotoelettrica comandata dal capitano Muzi della p. s. Queste iniziative compromettono seriamente la salvezza di Di Gennaro. Lotta armata per il comunismo. Creare organizzare 10, 100, 1000 nuclei armati proletari. Nucleo armato 29 ottobre“.
La Stampa 10 maggio 1975