La proposta è partita dal Consiglio d'Europa dopo un'inchiesta in vari Paesi - Il carcere è un "servizio sociale". E' nata la «Carta europea dei diritti del detenuto», e con essa una nuova, pur tenue speranza, per quanti devono scontare una pena. Dopo mesi di indagini e di inchieste nelle carceri europee, soprattutto in quelle che videro le rivolte più lunghe e aspre come in Italia e in Francia, il Consiglio d'Europa ha preparato un codice in 94 punti al quale si dovrebbero adeguare, entro cinque anni, le amministrazioni penitenziarie dei Paesi aderenti.
Il carcere, dice la «carta», è un «servizio sociale», come le scuole, gli ospedali, i trasporti ecc. Pertanto esso deve servire realmente agli scopi per il quale è stato creato. Il detenuto è un cittadino come gli altri, non un «diverso», che conserva i suoi diritti di uomo, inalienabili. Il portone dello stabilimento penale, continuano i giuristi del Consiglio europeo di Strasburgo, non è la soglia di un altro mondo, dove vigono norme subumane, codici di comportamento aberranti, condizioni di vita degradanti. Se così fosse, il sistema penale verrebbe meno alla sua funzione che è quella di restituire alla società un individuo risanato e non irrecuperabile, come purtroppo è oggi il caso più frequente.
E' insomma, il principio tanto conosciuto, quanto di fatto violato, della rieducazione. Ma gli uomini del Consiglio d'Europa non sono tanto ingenui da immaginare che principi come questi possono da soli modificare la realtà. Perciò, in attesa della riforma «morale», si assicuri almeno una riforma «materiale» delle carceri: chissà che la seconda non sia matrice della prima.
Fra le 94 voci che compongono la «Carta del detenuto» molte riguardano l'igiene (si raccomandano servizi completi per ogni cella), l'alimentazione (il numero delle calorie deve essere fissato sulla base delle norme dietetiche più avanzate), la cubatura dei locali, la luminosità (il detenuto deve poter lavorare e leggere alla luce del giorno), l'abbigliamento, l'esercizio fisico. Senza menzionare specificamente la questione dei rapporti affettivi del detenuto, la carta» raccomanda esplicitamente di favorire al massimo i contatti con i familiari, le mogli, gli amici. Il documento cita come esempio il sistema adottato in molti istituti di pena svedesi, dove esistono, accanto all'edificio del carcere vero e proprio, minibungalow dove, i detenuti, possono incontrare, in libertà e discrezione, la moglie e le amiche.
Il lavoro, prosegue il documento, deve essere regolarmente retribuito e deve essere escluso ogni «sfruttamento della manodopera detenuta»; la condizione di carcerato non giustifica abusi salariali. Lavoro formativo, si aggiunge, tale da contribuire anche alla qualificazione o alla riqualificazione professionale. Ma tutte le buone intenzioni non basterebbero senza gli uomini per metterle in pratica, cioè senza un personale carcerario all'altezza di un compito tra i più difficili. Perciò «ogni membro del personale — dice la risoluzione — di qualsiasi grado deve essere scelto con cura estrema e godere di un trattamento e una preparazione di prim'ordine ».
La Stampa 11 giugno 1973