Un giovane poliziotto morto, non si sa bene come e perché. L''arma del delitto' mai trovata. Documenti ufficiali che compaiono e scompaiono. Un processo che si chiude senza colpevoli. Sembra un giallo e invece è un libro inchiesta "Il caso Annarumma. La rivolta delle caserme e l'inizio della "strategia della tensione" (Castelvecchi Editore), 160 pagine in cui il giornalista Cesare Vanzella - attraverso rapporti di polizia, atti giudiziari, foto, filmati, giornali dell'epoca e testimonianze dirette - si sforza di ricostruire quel che realmente accadde quella mattina del 19 novembre 1969 a Milano.
C'è un dato di fatto tragico, incontrovertibile: la morte di Antonio, un ragazzo di 22 anni, originario di Monteforte Irpino, provincia di Avellino, costretto come tanti coetanei del sud a cercare lavoro lontano dalla sua terra. E c'è una verità ufficiale, quella accreditata dai pm e dalla questura, secondo cui ad ucciderlo fu una spranga lanciata da un manifestante durante le proteste per la casa che in quel giorno di autunno inoltrato videro concentrarsi in via Larga attivisti sindacali, marxisti-leninisti, studenti e un gruppetto di anarchici.
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Di quella verità Vanzella però non si 'accontentà e - senza sbilanciarsi per una tesi o per l'altra, alieno da posizioni preconcette - si avventura sullo scivolosissimo terreno in cui la cronaca si fa storia, provando a riavvolgere un film che molti, troppi hanno voluto cancellare. In effetti, nemmeno l'ipotesi alternativa - quella secondo cui Annarumma sarebbe deceduto sbattendo il capo senza elmetto sul parabrezza del suo gippone nello scontro con un altro mezzo della polizia nel 'carosello' mirato a disperdere i manifestanti - trova conferme indiscutibili, ma i dubbi si sommano ai dubbi e l'ombra del depistaggio, più o meno consapevole, assume nuova consistenza.
Dov'è finito il 'biondino' che avrebbe ferito mortalmente l'agente? Che ne è del tubo Innocenti che avrebbe usato, tubo portato via con altre decine dal vicino cantiere del palazzo del Comune? Chi toglie dalla circolazione, salvo poi farla ritrovare (modificata?), la cartella dell'autopsia? Chi fa sparire il video, girato in via Larga da una troupe della tv francese, che suffraga l'ipotesi dell'incidente? Perché, una volta chiamati a testimoniare, tanti colleghi di Annarumma si nascondono dietro imbarazzati "non ricordo"?
Il problema è che quel mercoledì, davanti al teatro Lirico, gli "anni di piombo" devono ancora cominciare ma iniziano a dipanarsi le trame di quella che verrà ricordata come "la strategia della tensione": meno di un mese dopo ci sarà la strage di piazza Fontana.
In quei giorni l'Italia è lacerata dai conflitti sociali, si discute del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, i cortei sono all'ordine del giorno e non manca chi, nostalgico di ordine e disciplina, accarezza l'idea del golpe e l'arrivo dei 'colonnelli'.
La rabbia è tanta anche tra chi veste la divisa, e quando è impegnato in servizi di ordine pubblico - con turni massacranti e stipendi da fame - si trova ad essere regolarmente bersagliato da sputi, insulti e cubetti di porfido: non è certo un caso che, proprio dopo la morte di Annarumma, in almeno quattro caserme di Milano, Roma e Torino tanti agenti si ammutinino e provino ad uscire per 'vendicarsi' degli studenti, fermati solo in extremis da funzionari 'lealisti'. Ma per la sindacalizzazione e la smilitarizzazione del Corpo bisognerà attendere altri 12 anni.
Il volume di Cesare Vanzella (che è stato presentato oggi a Milano) prova a mettere ordine in questa materia incandescente, aiutato dai contributi di Mario Capanna, allora leader del Movimento studentesco, e di Giorgio Benvenuto, all'epoca segretario della Uilm. Ma l'epilogo di quella che l'autore stesso definisce "una storia sbagliata, una giornata di ordinaria follia" è prevedibilmente amaro: "a via Larga hanno perso tutti", ammette. E più di tutti "un ragazzo come tanti" - è la sorella Carmelina a ricordarlo così - che "amava "andare in moto, ballare e fare le battute". Che "piaceva alle ragazze". E che al suo paese, da papà Carmine e da mamma Giovannina, sognava di tornare per il pranzo di Natale, non chiuso in una bara avvolta da una bandiera.