Il boss La Barbera ucciso da tre detenuti in carcere
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STORIA Il boss La Barbera ucciso da tre detenuti in carcere 29/10/1975 

Vendetta per le "prepotenze" nel penitenziario, o regolamento di conti da parte di un "padrino" emergente? Con una serie di otto pugnalate - quella mortale lo ha centrato al cuore - è finita, alle 17,30 di oggi, la carriera mafiosa di Angelo La Barbera, 51 anni, palermitano.

Stando alle prime indagini, condotte dal sostituto procuratore di Perugia Arioti, gli autori dell'assassinio sono tre detenuti (Giuseppe Ferrera, di 42 anni; Giuseppe Rizzo, 38, e Giuseppe Privitera, 50). I tre avrebbero agito per vendicarsi delle “prepotenze” esercitate, attraverso alcuni altri detenuti pure di origine siciliana, dal La Barbera. Un regolamento di conti da parte di cosche rivali, insomma. Sono tuttavia notizie frammentarie, che filtrano attraverso la cortina di silenzio disposta dal magistrato.

Il “boss” era ricoverato nell'infermeria del carcere, colpito da epatite virale. I tre, che da giorni si trovavano in cella d'isolamento, nel pomeriggio erano usciti per l'ora d'aria. Sembra che due abbiano immobilizzato due agenti di custodia, abbiano salito i tre piani della casa di pena e si siano precipitati nell'infermeria, in quel momento immersa nella penombra. Le coltellate hanno raggiunto il La Barbera mentre riposava: è morto all'istante, non ha avuto il tempo di gridare. I tre hanno avuto tutto il tempo di fuggire via.

Scoperto l'assassinio, sono stati subito interrogati i detenuti ricoverati in infermeria. Pare che in un primo momento abbiano avuto paura di dire quel che avevano visto. Poi, su ordine del magistrato e del direttore del carcere, Pagliariccio, sono state vagliate le posizioni di tutti i detenuti e da questa indagine sarebbero appunto emersi gli indizi che hanno portato alla identificazione dei tre membri del “commando” e di altri due, forse organizzatori del delitto.

Privitera (in carcere per duplice omicidio), Rizzo (per rapina) e Ferrera (per uxoricidio) sono stati trasferiti con provvedimento d'urgenza: il primo a Lucca, il secondo a Pisa, il terzo a Spoleto. Gli altri due detenuti sospettati sono Giuseppe Argentieri e Diego Spinella: anche per loro è stato disposto il trasferimento, rispettivamente a Volterra e a San Gimignano. Al momento di lasciare le celle, però, i due si sono barricati, trovando nella loro protesta la solidarietà di altri otto detenuti.

La Barbera si trovava a Perugia da quattro mesi: vi era stato trasferito da Trento, accompagnato da una cartella medica. Esiste però anche un'altra versione: si dice da qualcuno che avesse chiesto di essere portato in infermeria soltanto recentemente, perché aveva paura di essere ucciso. Da una settimana, infatti il "boss" aveva la "guardia del corpo" tra un paio di detenuti siciliani a lui fedeli, che lo seguivano come un'ombra. Che La Barbera sia stato ucciso per ordine di un clan rivale pare indubbio. In passato, per quattro volte era riuscito a sfuggire agli attentatori. Il 17 aprile del '54 fu ferito ad una gamba (era allora il “padrone” della speculazione edilizia di Palermo). Il primo di aprile del '63 gli tesero un agguato, sempre nella città siciliana; uscì illeso (fu il momento in cui, con il fratello Salvatore, gettò il guanto di sfida ai fratelli Greco perché vuole controllare il traffico della droga). Diciannove giorni dopo, sempre a Palermo, si salvò da una spedizione punitiva: tre dei suoi fidi rimasero feriti. Infine, la morte lo sfiorò a Milano nel maggio del '63, l'anno nero della mafia. Fu colpito da raffiche di mitra in parti vitali, ma riuscì a sopravvivere.

Se, come si può sospettare, l'uccisione non deriva da motivi di vendetta contingenti, per la legge di ferro che La Barbera voleva imporre agli altri detenuti come “uomo di rispetto”, si può dire che chi aveva giurato di ucciderlo ha aspettato dodici anni. Anche al confino, il boss era sempre circondato da fedelissimi. Nell'infermeria del carcere di Perugia si è trovato improvvisamente solo. Così è scattato il meccanismo della “giustizia” mafiosa.

Per conto di chi hanno agito i tre detenuti? Il clan dei Greco, nemici giurati di Angelo La Barbera, è il sospettato di turno. Loro controllavano, negli Anni Sessanta, il traffico degli stupefacenti. La Barbera ruppe il “contratto” con loro e fu la guerra. Potrebbero essere loro, quindi, i mandanti. Ma la storia della mafia, dal '63 ad oggi, è cambiata. Chi voleva morto Angelo La Barbera potrebbe essere il “padrino” di un nuovo clan emergente. Questo perlomeno insegna la “storia” dell'onorata società”. I regolamenti di conti fra le cosche mafiose capitano sempre quando un equilibrio si rompe e quando un nuovo boss sale sul palcoscenico della malavita. Pare che Giuseppe Privitera, Giuseppe Ferrera e Giuseppe Rizzo facciano parte del clan mafioso detto di “zi Giuseppe” (forse dal nome di battesimo dei tre). Il magistrato ha interrogato anche le due guardie carcerarie minacciate dai detenuti. Polizia e carabinieri sorvegliano l'ingresso del carcere in attesa che la situazione torni alla normalità. Il corpo di Angelo La Barbera è stato deposto in una bara e portato in una saletta dell'istituto di pena.

La Stampa 29 ottobre 1975


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