Detenuti mafiosi al 41-bis: così si tradisce l'insegnamento di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il carcere duro previsto per isolare i capi dagli affiliati a piede libero viene sempre più spesso dribblato grazie a una serie di accorgimenti.
Non appena il mafioso Alessandro Piscopo arriva alle porte della sua Vittoria, tra le serre del ragusano, si verifica un evento miracoloso: suo fratello, a letto per un intervento al cuore, si alza e se ne va al bar. Per il boss è un giorno speciale. Gli è concesso di lasciare il carcere dell’Aquila, dove è sottoposto al regime del 41bis per stringere a sé il parente malato. Lui però non si trova.
La lunga attesa e la preoccupazione terminano davanti all’apparizione: eccolo spuntare da dietro l’angolo, sulle sue gambe. Pronto ad abbracciarlo in mezzo a curiosi e compari scesi in strada. Sono in tanti e la scorta della Polizia Penitenziaria non riesce a tenerli lontani. Il rischio era noto, nella zona ci sono molti pregiudicati agli arresti domiciliari, ma il magistrato di Sorveglianza di fronte all’emergenza familiare ha accordato il permesso.
I 727 capimafia detenuti tornano sempre più spesso a casa
Solo l’anno scorso è accaduto 31 volte, con un costo per lo Stato di oltre mezzo milione di euro. È un loro diritto ed è tutto regolare, ma tra un crescente numero di istanze e ricorsi, i trattamenti appaiono sempre meno omogenei. La norma più odiata dalla criminalità organizzata è essenziale nella strategia di contrasto, ma ha posto delicati problemi di compatibilità costituzionale e presenta modalità esecutive diverse, a volte contraddittorie con le finalità preventive.
L’attuale efficacia del carcere speciale, introdotto dopo le stragi del 1992 per impedire di comunicare all’esterno e continuare a guidare l’organizzazione, finisce così per tradire l'insegnamento di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Quando il boss della ’ndrangheta Salvatore Pesce ...