Il “Nap-29 ottobre”, il nucleo armato proletario “esterno” che ha tenuto prigioniero per cinque giorni Giuseppe Di Gennaro, era in possesso del discorso che il consigliere di cassazione, esperto di problemi carcerari, doveva fare a Taranto ad un prossimo convegno. Aveva anche una sua pubblicazione, che Di Gennaro ancora non aveva visto stampata. Sapeva tutto su di lui e sul suo lavoro. Conosceva particolari tecnici precisi.
Anche i “Nap” erano esperti di problemi carcerari, ad alto livello. “Ed è in questo ambiente che indaghiamo”, hanno detto a palazzo di Giustizia. Un ambiente ristretto? Certamente. Di Gennaro poteva essere conosciuto al grosso pubblico per le sue apparizioni in televisione, per i suoi articoli pubblicati sull'organo della corrente di magistratura che si chiama “Impegno costituzionale”. Era citato anche nel libro di Ricci e Salierno, una delle prime denunce del sistema carcerario. Ma chi poteva sapere tutto su di lui? Non certo le centinaia di persone che sono state perquisite ieri e che avevano ricevuto anche indizio di reato per “fondati motivi” di appartenenza ai Nap. Pare che l'iniziativa del sostituto procuratore Paolino Dell'Anno abbia ottenuto risultati ovunque negativi.
Le indagini si spostano negli ambienti frequentati da Di Gennaro? Non c'è conferma ufficiale, ma voci di “ricerche”. Voci dello stesso tipo riguardano alcuni ambienti della polizia. Come avevano saputo i “Nap” esterni che, la notte della rivolta a Viterbo una autocolonna della polizia era uscita dalla caserma di Castro Pretorio? (Dieci minuti dopo lo avevano potuto scrivere in un comunicato a ciclostile). Qualcuno era appostato per segnalarlo? E' possibile, ma non avrebbe potuto sapere il nome del capitano che comandava il gruppo. Qualcuno aveva potuto intercettare i messaggi interni con un apparecchio sintonizzato sulle bande usate dalla polizia? E' più che probabile, ma pare che questo dispaccio non sia stato mai dato.
Le indagini sono indirizzate anche al carcere di Viterbo, dove qualcuno introdusse le armi e la foto “Polaroid” a colori che mostrava il giudice Di Gennaro ammanettato Si parla di complicità e possibili connivenze. Il quadro è quindi questo: per stessa ammissione dei Nap (primo comunicato) l'azione esterna sarebbe stata condotta da sei persone (due nuclei).
Uno di questi doveva per forza operare intorno al carcere di Viterbo. Del “nucleo” viterbese dovrebbe far parte la moglie di Panizzari, Rita, che non è stata rintracciata, e forse quel “Sergio D.”, sparito per un certo periodo di tempo e poi rientrato “al sicuro”. L'altro nucleo sarebbe il “cervello” dell'operazione. Tre persone esperte ad alto livello di problemi carcerari, con possibili agganci nella polizia e contatti con guardie carcerarie? Ecco che la pista si restringe. Dopo le duecento perquisizioni di ieri e gli indizi, gravissimi, di reato contro giovani della sinistra extraparlamentare, le indagini in questo campo si sono fermate. Abbiamo visto il dottor Paolino Dell'Anno uscire di corsa dall'ufficio del viceprocuratore generale. Si è affrettato a parlare con il colonnello dei carabinieri Vitali. Continuate le perquisizioni? “No, ad eccezione di quelle che non erano state compiute ieri”. Collegamenti con il rapimento Bulgari? “E' una ipotesi. E' solo una ipotesi su cui lavoriamo”. La comunicazione giudiziaria al giornalista Baraghini di Stampa alternativa! “Stiamo battendo in ogni direzione”. Dell'Anno non sembra entusiasta dei risultati ottenuti finora.
Le proteste non sono mancate. Si è parlato di “caccia alle streghe”. Ha reagito “Potere operaio”, il pdup, il partito radicale e oggi anche la Federazione nazionale della stampa. Sul caso Baraghini c'è un seguito. Il giornalista è stato visto a palazzo di Giustizia assieme al suo avvocato, il penalista Franco De Cataldo. E' stata annunciata una denuncia al capo dell'ufficio politico della questura, Improta, per “diffamazione aggravata”. Ieri sera, il telegiornale aveva dato, in apertura, notizia dell'”avviso” contro Baraghini. Poi c'era stata una smentita della questura, riportata da radio e da televisione.
La Stampa 14 maggio 1975