Il figlio con l'influenza ha salvalo la vita a una collega della vigilatrice di Rebibbia La vittima dei terroristi è stata costretta a invitare in casa la donna, che abita nello stesso palazzo - Quest'ultima ha però dovuto rifiutare l'invito - L'agguato è stato probabilmente compiuto dalle stesse persone che ferirono la dottoressa del carcere.
Le vittime dovevano essere due: le prime indagini sul feroce assassinio di Germana Stefanini, 57 anni, la vigilatrice di Rebibbia sequestrata l'altra sera ed abbandonata poi, uccisa con un colpo di pistola alla tempia, nel bagagliaio di un'auto, hanno portalo a questa conclusione. Dopo averla bloccata nell'androne di casa, dopo averla costretta ad aprire la porta del suo appartamento, dopo averla interrogata, per ore, i terroristi del Potere proletario armato hanno costretto la donna a chiamare dalla finestra un'altra vigilatrice che abita nel suo stesso palazzo. L'altra non è scesa solo perché aveva un figlio ammalato: e, fallito questo tentativo, i criminali hanno concluso il loro piano con un assassinio tra i più feroci netla storia pur sanguinosa del terrorismo. E' la quarta volta (dopo gli assassinii dell'agente Raffaele Cinottl, del direttore sanitario Giuseppe Furci e il ferimento della dottoressa Giuseppina Galfo) che il personale di Rebibbia viene preso di mira dai terroristi. Ma se fino ad un anno fa gli agguati rientravano in qualche modo nelle strategie del "partilo armato", questo assassinio sembra appartenere (come l'altro, mancato per un soffio, della dottoressa Galfo) più alla schizofrenia di un gruppo di sbandali che a un vero progetto di riorganizzazione.
Un mese e mezzo fa, erano stati tre giovani e una donna ad aggredire la dottoressa nel suo studio: le prime indagini partono dalla convinzione che i componenti il commando siano stati, anche l'altra sera, gli stessi. Il primo allarme è partilo proprio dal carcere: poco dopo le 23 il centralinista di Rebibbia aveva ricevuto una telefonata in cui si annunciava il sequestro, di Germana Stefanini. Subito dopa a cadenze fisse, l'anonimo telefonista ha chiamato prima il quotidiano Paese Sera, poi il centralino del Messaggero. Nelle ultime chiamale sono state fornite anche le istruzioni per ritrovare il corpo della donna.
Era nel bagagliaio di una 131 parcheggiata a non molta distanza dal carcere. In via Algranatl nella zona del Tiburtlno. Il corpo della donna era raggomitolato nel bagagliaio, ancora coperto dal cappotto rosso con il quale la donna, nel primo pomeriggio, era uscita dal carcere dopo il suo turno di lavoro, e parzialmente avvolto da una coperta. Un colpo solo, sparalo a bruciapelo con le prime rivendicazioni. I terroristi avevano fallo arrivare ai giornali romani anche due foto Polaroid: Germana Stefanini vi era ritratta seduta, con le mani sulle ginocchia, dinanzi a uno striscione rosso zeppo di slogan fra i quali campeggia un "liquidare l'articolo 90". Si tratta delle disposizioni del più recente regolamento carcerario che ha inasprito le condizioni di isolamento e ridotto i contatti per i più pericolasi fra i detenuti politici. Sono state sufficienti poche ore a ricostruire i tempi dell'agguato.
Germana Stefanini aveva lasciato Reblbbla alle 14.30. Era vigilatrice da vent'anni, e i colleghi la conoscevano come una persona particolarmente scrupolosa. Era addetta al controllo del pacchi che giungevano al detenuti e questo suo impegno può essere stalo facilmente scambialo dai terroristi per volontà persecutoria. Da Rebibbia. con l'autobus. Germana Stefanini è tornala a casa: un'abitazione modesta, al terzo plano di un palazzone del Prenestlno, in via Giglielmo Albimonte. La donna divideva la casa con il fratello Carlo, un portantino dell'ospedale San Filippo abituato a rientrare solo nel tardo pomeriggio. I terroristi devono averla circondata nell'androne: il tempo di trascinarla fino all'ascensore (nel quale sono rimaste alcune tracce di sangue), costringerla a salire al terzo piano, e poi ad aprire la porta di casa. L'hanno condona nella camera da letto, hanno appeso alla parete lo striscione, poi hanno cominciato il processo.
Dopo le prime domande, i terroristi hanno anche cercato una seconda vittima: nello stesso palazzo, al quinto piano, abita un'altra vigilatrice di Rebibbia, che fra l'altro sembra non fosse in ottimi rapporti con la Stefanini. Anche per questo, la donna si è stupita quando, verso le 18, ha sentito la collega chiamarla dalla finestra: "Vieni giù, per favore: ho da dirti delle cose importanti". La donna però aveva un figlio a letto con l'influenza: "Se vuoi — ha risposto — sali tu". L'altra le ha dello seccamente: "Non fa nulla..." ed è rientrata. Poco più tardi e stata portala via sull'auto (rubala tempo fa a una signora), fatta stendere nel bagagliaio, probabilmente nel buio del Prenestlno e uccisa. Le colleghe della vittima, hanno deciso di scioperare l'intera giornata di domani, in segno di solidarietà e di protesta.
"Il terrorismo eversivo, sempre più isolato — ha scritto in un telegramma di cordoglio, a Darida il Presidente Pertini — dimostra di essere ancora in grado di compiere abietti atti criminali. Allo sdegno per questo efferato delitto deve unirsi il rinnovato e incessante impegno a non lasciare nulla di intentato per cancellare definitivamente dalla nostra vita sociale ogni minima recrudescenza dell'eversione terroristica".
La Stampa 30 gennaio 1983