L’ultimo anno e mezzo in una comunità di recupero immersa nel bosco della Ciociaria, al posto di un esilio, sia pur dorato, in carcere. Sono solo alcuni dei benefici di cui ha goduto Giuseppe Casamonica, l’uomo ritenuto dalla procura a capo del clan mafioso che per anni ha tenuto in scacco, a suon di estorsioni e minacce, il quadrante est di Roma. “Peppe” — il boss che dalla cella continuava ad impartire direttive per controllare il territorio e che a Rebibbia incontrava i familiari nell’area verde, all’aperto, al riparo dai controlli — nel marzo dello scorso anno aveva lasciato il penitenziario, dove stava scontando un cumulo di pene di 14 anni, per curare la sua tossicodipendenza dalla cocaina. A disporre l’affidamento in prova alla comunità “In Dialogo”, di Trivigliano, era stato il tribunale di sorveglianza.
A leggere quell’ordinanza, che di fatto lo aveva liberato, e ora depositata fra le carte al tribunale del Riesame, ci sono alcuni passaggi che stridono con i motivi del suo ultimo arresto: «Giuseppe Casamonica non commette reati dal 2009 e nel corso della detenzione ha manifestato volontà di intraprendere il percorso terapeutico». Tutto liscio, se non per il fatto che il boss dal 2009 in poi era proprio dietro le sbarre per scontare la sua pena, e quindi impossibilitato a commettere reati. Secondo i giudici, tra l’altro, le cause della sua tossicodipendenza sarebbero da addebitare al contesto che frequentava: «Occupandosi della gestione di un locale notturno è entrato in contatto con ambienti sociali nei quali era diffuso l’uso di stupefacenti», scrivono i giudici. Quel locale, però, nelle oltre 1200 pagine dell’ordinanza con cui è stato sgominato il clan, emerge come il luogo che i Casamonica utilizzavano per spacciare.
Ma non si tratta dell’unico beneficio piovuto sul suo capo. Il primo in ordine cronologico risale ad 11 anni fa. Era il 2007 quando “Peppe” veniva denunciato per aver minacciato di morte un uomo: «Se non te ne vai ti butto dalla finestra » . La vittima voleva rientrare in possesso di una casa popolare a Pietralata, e che il boss gli aveva sottratto quando il coassegnatario era deceduto: « Mi doveva 300mila euro. Adesso siamo pari », la frase con cui l’aveva liquidato. La denuncia, però, presentata al commissariato Sant’Ippolito, non ha avuto alcun seguito. Stranezze. Il pm Giovanni Musarò, titolare dell’inchiesta sul clan Casamonica, ha chiesto lumi sul perché quel procedimento non fosse mai stato istruito. La denuncia non è mai stata trasmessa alla procura perché Giuseppe Casamonica non è stato identificato, sebbene la stessa vittima ne avesse indicato il domicilio.
L’altro bonus di cui ha usufruito è più recente. Il boss, nel 2014, è stato assolto dalla corte di Appello per prescrizione, ma tra il primo e il secondo grado ci sono voluti ben 6 anni. Il fatto risale al 2000: un’estorsione compiuta ai danni del titolare di una pizzeria in via Tuscolana. Dopo che il commerciante ha subito per tre giorni di fila due rapine e il furto di un motorino, “ Peppe” gli ha offerto protezione: « Dammi 300mila lire e starai tranquillo » . Arrestato, nel 2008 il tribunale lo ha condannato a 6 anni. Dopo ben sei anni, l’Appello. Risultato: prescrizione. Per un fatto che se contestato, al tempo, con l’aggravante mafiosa, quasi sicuramente sarebbe restato in piedi.
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