Gravi i danni nel penitenziario siciliano. I carcerati trasferiti da Torino e Milano intendevano protestare per la forzata rinuncia ai colloqui con i familiari residenti al Nord. Adriano Rovoletto fra i promotori
E' in corso da stamane l'inchiesta disposta dal ministero .di Grazia e Giustizia sulla rivolta scoppiata tra la notte di sabato e la mattina di domenica nel penitenziario di Noto, presso Siracusa.
L'ispettore dott. Gulli ha già preso contatto con il direttore del carcere, dott. Paolo Consiglio, con il prefetto di Siracusa, con il questore e con il comandante del gruppo carabinieri. L'inchiesta ha carattere amministrativo, mentre per quanto si riferisce agli aspetti penali l'indagine sulla rivolta è stata affidata al sostituto procuratore della Repubblica, dott. Ruello.
La maggior parte dei detenuti (al momento della sommossa nei vari bracci del penitenziario ve ne erano 332) sono stati già trasferiti nei penitenziari di Porto Azzurro, Pavignana .e Procida. Fra i primi rivoltosi ad essere avviati alle nuove destinazioni figurerebbero coloro che, stando alla prima fase di indagini, avrebbero capeggiato la sommossa: fra di essi, oltre ad Adriano Rovoletto, l'ex autista della « Banda Cavallero », i calabresi Napoli e Varsavi, il sardo Pessi, il milanese Santisi e il siracusano Tagliata.
La rivolta sarebbe stata ideata dai detenuti trasferiti nei mesi scorsi nel penitenziario di Noto dalle carceri « Nuove » di Torino e « San Vittore » di Milano. Per scatenare la ribellione, sarebbe stata fatta circolare fra i detenuti del primo e del secondo braccio la notizia che uno dei reclusi, il palermitano Giovanni Meli, feritosi per una caduta, stava per morire e che il direttore del carcere si era opposto al suo trasferimento in ospedale.
Il pretesto ha ottenuto l'effetto desiderato: i carcerati sono insorti inveendo contro il direttore, accusato di crudeltà. Ma la protesta serpeggiava nel penitenziario sin dall'arrivo dei detenuti dal f Nord. Questi' ultimi infatti non si rassegnavano all'idea di dover rinunciare ài colloqui regolamentari con i parenti rimasti nel Settentrione.
Per domare l'ammutinamento la polizia ha dovuto fare ricorso alle bombe lacrimogene e sparare raffiche di mitra sulle mura del carcere per scongiurare un'evasione in massa dei detenuti. Quando già si profilava il pericolo di dover spargere sangue per domare la ribellione, le parole del direttore del carcere (che prometteva di prendere in considerazione le richieste di massima dei detenuti) e il buonsenso dei rivoltosi avevano il sopravvento. I carcerati si ritiravano dal cortile e rientravano nei bracci, lasciando il campo alle guardie di custodia, spalleggiate dai reparti di polizia e di carabinieri fatti affluire da Siracusa.
L'ammutinamento è durato esattamente dodici ore: durante questo periodo sono state spaccate' vetrate e suppellettili. I danni subiti dal penitenziario di Noto sono notevoli. Soltanto una minima parte dei detenuti potrà continuare ad esservi ospitata. II detenuto Giovanni Meli, le cui condizioni non destano alcuna preoccupazione (in seguito alla caduta ha riportato la frattura della rotula del ginocchio destro), è stato trasferito presso l'infermeria del manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, dove verrà sottoposto ad intervento chirurgico.
La Stampa 19 agosto 1969