Ieri all'alba la lama ha mozzato il capo di un tunisino che uccise una bimba nel corso di una rapina - Gli avvocati: "E' stata una scena sconvolgente".
Alle 4,40 di questa mattina, nel cortile di un carcere marsigliese, la ghigliottina ha fatto un'altra vittima. Si tratta di un tunisino di 34 anni, Ali Benyanes, condannato a morte per aver assassinato, durante un tentativo di rapina, una bambina di sette anni, e per averne ferito la madre. Il fatto risale al settembre del '71, la condanna al settembre del '72, la conferma della pena capitale da parte della Cassazione al gennaio di quest'anno.
L'ultima possibilità offerta a ' Benyanes dalla legge francese per aver salva la vita, la grazia presidenziale, gli è stata negata. Pompidou ha invece sottratto al patibolo un altro condannato, Guy Chauffour, che due anni fa, nel carcere di Lione, uccise un agente di custodia con una pistola che aveva ricevuto in cella, nascosta in un pacco di dolci.
Quella di Benyanes è la terza esecuzione capitale, ossia la terza grazia rifiutata da Pompidou, negli ultimi sei mesi. Il 28 novembre dell'anno scorso i due protagonisti della tentata evasione dalla prigione di Clairvaux, Claude Buffet e Roger Bontems, colpevoli dell'assassinio di un'infermiera e di un agente che avevano catturato come ostaggi, furono decapitati nel cortile di un carcere parigino. La duplice esecuzione di allora, e i racconti dei giornali sul macabro rituale che precede la rapida caduta della lama triangolare, scatenarono in Francia una polemica che il supplizio di questa mattina puntualmente ripropone.
Ali Benyanes, dicono i suoi avvocati, ha dato prova di freddezza davanti alla ghigliottina. Ha chiesto perdono alla Francia, ha rifiutato, da buon musulmano, il rituale bicchiere di rum, s'è fumato, invece, un'ultima sigaretta dopo aver affidato al direttore del carcere alcune lettere per la sua famiglia. Pochi istanti dopo, la porta carraia della prigione lasciava uscire un furgone funebre, e il corpo spezzato di Benyanes veniva portato al cimitero di Saint Pierre, «Chiunque abbia visto un'esecuzione capitale — ha detto subito dopo Antoine Tognoli, uno degli avvocati del tunisino, pallidissimo, la voce tremante — non può più essere favorevole alla pena di morte. E' uno spettacolo sconvolgente ».
Un altro avvocato, Jean Guerraz, ha detto che «è inconcepibile che nel ventesimo secolo una simile cosa esista ancora nel nostro paese». A parere di Claude Ritcher, il terzo dei legali di Benyanes, che come vuole la legge sono stati fino all'ultimo accanto al loro assistito, «tutti coloro che sono favorevoli alla pena di morte dovrebbero rendersi personalmente conto di come muore un uomo sul patibolo... Lo stesso presidente Pompidou dovrebbe assistere alla morte di un uomo in queste condizioni».
Sono due gli argomenti di chi vuol mantenere questa pena estrema nella legislazione, entrambi duramente contestati da generazioni ormai: il primo ricalca la tradizionale legge del taglione, chi ha ucciso deve morire; il secondo si rifa al carattere esemplare di questa pena, quindi alla sua pretesa forza di dissuasione nei confronti del crimine. Il primo argomento viene combattuto sul piano del semplice diritto civile: la società non deve vendicarsi, ma correggere i suoi mali senza spargere sangue. Il secondo subisce invece l'assalto delle smentite statistiche: in tutti i paesi dov'è stato possibile fare il confronto, non si è mai registrata una qualsiasi relazione fra il grado di criminalità e la severità della pena prevista dai codici. Oltre che essere moralmente ingiusta, dicono gli abolizionisti da Beccaria in poi, la pena di morte non serve assolutamente a nulla. Inoltre, alla base degli ordinamenti moderni è stato posto il carattere «rieducativo» della pena.
La Stampa 13 maggio 1973