Si può dire a un uomo in galera che in realtà non è affatto in galera ma in una specie di albergo di lusso, come se non ci fossero le sbarre, le guardie, e quel portone blindato che per anni non potrà varcare? Ieri a liquidare la prigionia di Roberto Formigoni come una specie di vacanza a spese dello Stato è Antonio Lamanna, il procuratore generale che ha spiccato l'ordine di carcerazione nei suoi confronti, dopo che era divenuta definitiva la condanna a cinque anni e dieci mesi per corruzione.
E che ieri davanti alla Corte d'appello ha dovuto difendere la legittimità di quell'arresto, anche se il condannato ha più di settant'anni e avrebbe diritto agli arresti domiciliari.
La Manna dice che è tutto regolare, perché la legge «spazzacorrotti» vieta qualunque beneficio carcerario ai condannati per tangenti: e fin qua niente di strano, anche se la difesa sostiene che una legge simile non può essere retroattiva. Ma poi il pg spiega alla Corte d'appello che in realtà Formigoni è in realtà ospite di un resort. «Ci sono carceri e carceri. C'è chi viene mandato a Opera o a Busto Arsizio, dove le celle sono strettissime. E c'è chi invece viene mandato a Bollate, un carcere a cinque stelle, celle aperte tutto il giorno, laboratorio di pasticceria, laboratorio di pelletteria, non sembra neanche un carcere».
Invece un carcere Bollate lo è davvero: un carcere avanzato, dove alla privazione di libertà non vengono aggiunte le condizioni di vita umilianti di altre galere. Ma pur sempre una prigione. Ed è lì che dal 22 febbraio l'ex governatore della Lombardia sconta la sua pena, come altri milleduecento detenuti qualunque. Lo sta facendo con dignità, ma convinto di essere vittima di un'ingiustizia.
Ieri, nella cella 315 dove vive insieme ad altri due condannati, Formigoni riceve una nuova visita. È Gianmarco Senna, consigliere regionale della Lega. Fa capolino, Formigoni lo riconosce, lo saluta calorosamente. È una costante, per l'ex presidente, il flusso di visitatori: sono parlamentari e consiglieri regionali, che per legge possono entrare nelle carceri. «Ho ricevuto visite di amici - racconta Formigoni a Senna - ma anche di persone che non mi sarei mai aspettato di vedere, e mi ha fatto particolarmente piacere».
Nella lunga chiacchierata col leghista, Formigoni si lascia andare ad una sola lamentela: il letto. È corto, troppo corto per un omone di un metro e ottantasei, e sostituirlo con uno un po' più accogliente pare sia difficile. Ma per il resto, il Celeste - come lo chiamavano all'epoca del suo lungo regno sulla Lombardia - snocciola a Senna solo dettagli positivi. Parla del suo rapporto con la Polizia Penitenziaria, «eccellente». Racconta di come si è sentito accolto dagli altri detenuti, quelli che la seconda sera lo invitarono a una cella collettiva in suo onore, e che cominciano un po' alla volta a essere volti noti, familiari, ognuno con le sue storie. E indica con orgoglio la mole di fogli e di buste sul letto e nell'armadietto. Sono le lettere che gli sono arrivate da quando è entrato in carcere: sono più di mille, ogni giorno dalla matricola gliene arrivano una trentina. «Evidentemente qualcosa di buono ho fatto», sorride Formigoni. «Cerco di rispondere a tutti, uno per uno».
La posta, le letture, le tante attività del carcere; ma anche la fiducia che là fuori qualcosa cambi, e che gli si apra la strada per le pene alternative cui è convinto di avere diritto.
«Per piacere, fa sapere a tutti là fuori che sono sereno», dice alla fine a Senna. Ma non gli dice di essere in albergo. È in galera.
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