“Speriamo che Natale ce lo facciamo insieme, me ne voglio venire, non a Mesagne, in campagna a Fasano”. Voleva la libertà, l’ergastolano Antonio Campana, ritenuto a capo della nuova Sacra Corona Unita assieme a Raffaele Martena. Avrebbe progettato l’evasione dal carcere di Terni in cui era ristretto dopo la sentenza di condanna al “fine pena mai” e pensava a una villetta sulle colline della Selva per nascondersi. Con la complicità dello zio Igino: per il nipote aveva acquistato su internet i “capelli d’angelo”, fili diamantati per tagliare le sbarre, che avrebbe nascosto nel pane da portare al detenuto in occasione del colloquio.
Il piano di fuga
La scoperta delle intenzioni di Campana, 39 anni, e di quella che appare la prima parte dell’organizzazione del progetto per la libertà, è stata scoperta dagli agenti della Mobile di Brindisi, sezione Criminalità organizzata-catturandi, nell’inchiesta sulla riorganizzazione della Scu dal carcere e sulla gestione del traffico di droga “Oltre le mura” (nome scelto per questo troncone d’indagine coordinato dal pool dei pm dell’Antimafia di Lecce, con a capo Leonardo Leone de Castris). La relazione integrativa è stata firmata dal capo della Mobile, Antonio Sfameni, ed è stata depositata in sede di Riesame dal pm Alberto Santacatterina.
Le intercettazioni ambientali
Campana ci sperava. Di più. Il fratello del presunto boss, Francesco Campana, ergastolano anche lui, e del pentito Sandro, era convinto di farcela, stando al tenore delle intercettazioni ambientali nella sala colloqui del carcere di Terni. Qui ha avuto modo di incontrare alcuni familiari, dopo essere stato condannato al fine pena mai a conclusione del processo sull’omicidio di Massimo Delle Grottaglie, avvenuto il 16 dicembre 2001. La Cassazione, il 26 maggio 2017 ha confermato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Taranto, per Campana e per Carlo Gagliari, l’altro imputato: entrambi condannati come esecutori materiali dell’omicidio mafioso premeditato.
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