“Non c’è stato nessun pestaggio e nessun aiuto degli agenti all’evasione dal carcere di Foggia”. Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, ci ha contattato dopo quanto vi abbiamo raccontato qui, con la moglie di un detenuto che sostiene che il marito, che non è scappato, sarebbe stato picchiato dopo l’evasione avvenuta a Foggia il 9 marzo. Di Giacomo lancia anche un allarme sulle condizioni in cui versano le carceri italiani durante questa emergenza coronavirus.
Conferma il pestaggio che sarebbe avvenuto dentro al carcere di Foggia?
“No, assolutamente. Non avevamo nessun motivo di accanirci nei confronti dei detenuto. La segnalazione di questa aggressione è arrivata anche a noi e alla procura ma in quella situazione non è stato picchiato nessuno”.
È vero che i cancelli del carcere erano aperti?
“No, sono stati sfondati. Ci sono però delle carenze strutturali: gli agenti non sono stati in grado di contenere l’ondata dei detenuti perché erano troppo pochi. Quando ci sono così tanti rivoltosi non c’è nulla che si possa fare: usare la forza o le armi sarebbe stato da pazzi. Un eventuale colpo di pistola avrebbe rischiato di peggiorare la situazione, condivido l’atteggiamento della Polizia Penitenziaria”.
Cosa è successo quindi a Foggia?
“C’è stato un incendio dentro alla struttura, forse appiccato dagli stessi detenuti. Lì è partita l’evasione, una cosa mai vista nella mia carriera: sembrava una scena che si vede in altri Paesi. Molti detenuti però non sono nemmeno scappati, sono rimasti davanti ai cancelli. Questo però evidenzia anche una situazione di malessere generale acuita anche dal coronavirus”.
Qual è la situazione nelle carceri in questo periodo?
“È una situazione difficile, la salute di tutti è a rischio: quella dei carcerati come quella degli agenti e del personale delle carceri. Già da un mese avevamo lanciato l’allarme, non sono state prese misure di prevenzione per il coronavirus nei penitenziari. E il sistema sanitario non è in grado di reggere un eventuale epidemia dentro le strutture”.
Cosa bisogna fare?
“Bisognerebbe far uscire dal carcere le persone con più di 70 anni e gli immunodepressi, non chi ha meno di 2 anni di pena da scontare perché questo non salvaguardia la vita dei detenuti. Io sono preoccupato dai dati: una quarantina tra medici e infermieri penitenziari hanno il coronavirus e sono dei potenziali untori nelle carceri, ieri sera c’è stato il primo dottore morto. I detenuti malati ufficialmente sono solo quindici, sono di più, ma non ci sono precauzioni: la distanza di un metro e mezzo è impossibile e non vengono fatti tamponi”.
Ci sono situazioni particolarmente difficili?
“A Rebibbia nel carcere femminile, il più grande d’Europa, risultano due medici e un infermiere infetti. Ci sono anche dei bambini lì dentro, e non si sta facendo nulla per proteggerli: volete almeno fare i tamponi alle mamme e isolarli?”.
Tra gli agenti come sta andando?
“Ci sono duecento agenti di polizia penitenziari malati, quattrocento in isolamento a cui non si riescono a fare i tamponi. Dobbiamo tutelare il diritto alla salute di tutti, e in questo momento non lo stiamo facendo. Così non si può andare avanti, siamo in una situazione di enorme difficoltà. Provate a immaginare cosa potrebbe accadere in un carcere se morisse un detenuto di coronavirus: si scatenerebbe il panico, e questo andrebbe a discapito dei detenuti stessi”.
Avete un appello da fare?
“Vi imploro, evidenziate che la situazione è disperata e servono interventi immediati: i tamponi ai detenuti vanno fatti subito se hanno avuto contatti con malati, gli agenti vanno isolati subito. Altrimenti qui si rischia il disastro”.
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