«Passi pericolosi per la democrazia». Dice così il questore di Torino, Francesco Messina, nel ricostruire le quattro ore di guerriglia che sabato hanno infiammato Torino. Una reazione agli arresti della cellula anarchica che aveva trovato casa in Aurora, tra l’Asilo di via Alessandria, sgomberato, e una mansarda al 45 di corso Giulio Cesare, perquisita. Una protesta violenta, prevista e per certi versi inevitabile. Con le forze dell’ordine impegnate a difendere più fronti della città: dai ponti sulla Dora, via d’accesso principale per tentare la riconquista di quella scuola occupata per 24 anni, alle piazze del centro. Bilancio finale: usati quattrocento lacrimogeni, 250 persone identificate, undici quelle arrestate. «Undici prigionieri, per come si sono messe le cose - insiste Messina -. Perché ci siamo trovati davanti a una vera e propria azione di guerra. E c’è un momento in cui lo Stato deve reagire».
Quello che ha sorpreso è stato l’effetto della chiamata alle armi. Che ha fatto sì arrivare in città elementi storici dell’anarchia sovversiva, ma che ha strappato dimostrazioni di solidarietà da ambienti storicamente lontani dalla realtà anarco-insurrezionalista. «C’erano attivisti di Askatasuna, i giovani di Manituana, tanti No Tav torinesi - dice Messina -. Così si è arrivati a mille persone e a un’organizzazione militare della protesta che non ha nulla a che vedere con la protesta sociale che la città è abituata a gestire». Eccoli qui, i passi pericolosi per la democrazia. Cosa succederà nei prossimi giorni, è ancora una storia tutta da scrivere.
Tecniche militari nelle strade di Torino. Il Questore: sono pericolosiGuerriglia a Torino, il questore: "In piazza gente addestrata a tecniche militari: sono pericolosi".
Pubblicato da Sostenitori Polizia Penitenziaria
Quel che è certo è che i primi effetti pratici sono già arrivati. Come la scorta alla sindaca di Torino, Chiara Appendino. Un provvedimento finito sul tavolo della prefettura subito dopo le sue dichiarazioni, in difesa delle forze dell’ordine e del quartiere Aurora, quando lo sgombero dell’asilo era iniziato da poche ore. Era mercoledì, e alle sue parole erano subito seguite minacce pesanti e ancora scritte, nei giorni seguenti, sui muri della città.
Solidarietà ai reclusi
«Non finisce qui». Lo ripetevano, ancora ieri sera, i cento anarchici schierati alle spalle del carcere Lorusso e Cutugno. Che lanciavano in aria fuochi d’artificio e gridavano i nomi dei compagni arrestati. E dire che la manifestazione era partita con obiettivi e slogan differenti. Doveva essere l’opposizione dei collettivi antifascisti di Lucento e Vallette contro la fiaccolata di CasaPound, che proprio in corso Cincinnato commemorava le vittime delle Foibe. È vero: i manifestanti si sono trovati davanti un esercito di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa. Impossibile avvicinarsi ai militanti dell’estrema destra. Hanno girato per ore intorno all’area come a cercare un varco sguarnito, che non è mai stato trovato. Ma le voci sulla deviazione verso il carcere, sono iniziate a circolare quasi subito. Come se l’ultima meta fosse stata pianificata sin dall’inizio.
Laboratorio esploso
La serata sembrava essersi conclusa senza incidenti, invece, quando il presidio delle forze dell’ordine stava già lasciando il carcere, sono arrivati i vigili del fuoco. Un fumogeno rosso, lanciato oltre la cancellata, è caduto sul tendone che copre il laboratorio di pasticceria allestito per i corsi dei detenuti. Il calore c’ha messo un po’ a bucare la plastica, poi sono state le bombole del gas a esplodere una dopo l’altra. Tre boati e le fiamme, che hanno raggiunto anche l’isola ecologica, hanno costretto il personale ad allontanare i detenuti dai padiglioni B e C, momentaneamente trasferiti al piano terreno.
«Per fortuna l’emergenza è finita senza che nessuno sia rimasto ferito- spiega il direttore, Domenico Minervini -. Il problema sono i danni: abbiamo perso uno spazio prezioso, che serviva a migliorare le condizioni di vita dei ristretti, soprattutto delle donne». I sindacati di Polizia Penitenziaria, Sappe e Osapp, parlano invece di «gesti folli», di azioni di «presunta solidarietà» che invece mettono in pericolo gli stessi detenuti.
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