Esclusa dal concorso nella Polizia Penitenziaria per la presenza di un piccolo tatuaggio al piede, il Tar la riammette. Protagonista una ventottenne, domiciliata ad Avellino, alla quale erano state chiuse le porte della procedura da parte della Commissione giudicatrice. «Tatuaggio in zona visibile, articolo 123 comma 1 lett. c” in conformità al D.Lgs. 443 del 30.10.1992», recitava la motivazione del giudizio di non idoneità dopo l’accertamento dei requisiti psicofisici. E la norma richiamata parla chiaro: costituiscono infatti cause di non idoneità non solo “le infermita’ e gli esiti di lesione della cute e delle mucose visibili, le malattie cutanee croniche, le cicatrici infossate ed aderenti alteranti l’estetica o la funzione”, ma anche i tatuaggi.
Il personale in uniforme non deve quindi esibire tatuaggi, la qual cosa potrebbe aprire la strada al tatuaggio in zona coperta, ma in quest’ultimo caso bisogna accertarsi che non si tratti di rappresentazioni per natura o sede «deturpanti» o «indice di personalità abnorme». Nulla, insomma, che possa ricondursi a un piccolo ramo tatuato sul piede.
E il tribunale amministrativo laziale ha per ora dato ragione alla ricorrente, assistita dall’avvocato Sabrina Mautone. Esclusione sospesa, aspirante agente ammessa con riserva e causa rinviata per il merito al prossimo 19 dicembre. In particolare, secondo il collegio giudicante della sezione prima quater del tribunale laziale (presidente Salvatore Mezzacapo, consiglieri Donatella Scala e Laura Marzano) «dalla motivazione dell’impugnato provvedimento non è dato ricavare se la commissione medica abbia valutato la suddetta certificazione medica, né se il tatuaggio che ha causato l’esclusione, abbia le caratteristiche indicate dalla norma richiamata, ovvero se, per la sede o natura, sia deturpante o per il suo contenuto sia indice di personalità abnorme».
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