A Ivrea l’hanno trovato in una cella, nascosto nella sbarra di sostegno di un letto. Nel carcere minorile di Nisida, a Napoli, stava tra le imbottiture della federa. A Bellizzi, vicino Avellino, lo tenevano in una nicchia ricavata nella suola delle scarpe. A Orvieto ne avevano imboscato uno nelle mutande. A Bergamo in un pacco di brioches. E ne hanno rinvenuti anche a Biella, Sanremo e Cassino. Cellulari. Che i detenuti usano, nella migliore delle ipotesi, per chiamare i congiunti ma più probabilmente per tenere i contatti con i complici e i boss, o anche come strumento di potere nel mondo delle carceri: telefonate in cambio di favori o protezione. Nel 2017 è di 337 il numero totale di cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani, quasi due per ogni carcere, il 58 per cento in più rispetto al 2016.
Ma è così facile far entrare un cellulare in carcere? Con i nostri non riusciamo a superare qualsiasi metal detector e talvolta è difficile pure sistemarlo nella tasca dei pantaloni. La risposta è semplice: miniaturizzazione. Perché se il telefonino misura meno di sette centimetri per poco più di due, è spesso un solo centimetro e pesa 18 grammi, tutto è più semplice. Significa aver tra le mani un oggetto delle dimensioni di una batteria di un telecomando, più piccolo di un accendino. Insomma, chiunque riuscirebbe a nasconderlo. Se poi aggiungiamo il fatto che – dichiarazione dei produttori – è praticamente tutta plastica, rilevarlo con un metal detector è quasi impossibile.
A questo punto potremmo anche pensare che un oggetto del genere non possa che arrivare dai laboratori di Q, fornitore di ogni diavoleria di 007. Affatto. Il Long Cz- J8, questo il nome del micro telefonino, è a disposizione di chiunque: su Amazon lo si compra per meno di 25 euro. Gente lo ha acquistato e, con qualche preconcetto (in fondo sa tanto di cineseria), lo ha provato, nella convinzione che così piccolo non potrebbe mai funzionare. E invece… Arriva in redazione in una scatoletta da mazzo di carte. Leggi: Three in one (in inglese, tre in uno) e 99,99% plastic boss phone (telefono del boss, al 99,99% di plastica). Insomma, non tentano neppure di nasconderlo: è il telefono dei boss. Lo carichi in mezz’ora, e quando lo accendi una musichetta da carillon ti dà il benvenuto. È in inglese, ma puoi anche modificare il menu e scegliere l’italiano anche se la traduzione non è il massimo.
Il menu con le funzioni fa tornare indietro nel tempo, agli anni dei primi cellulari, con lo “sblocco” che si comanda premendo il tasto in alto a sinistra e l’asterisco (ricordate i vecchi Nokia?). Comunque, non dobbiamo pensare di poter fare un qualche affidamento sul display: misura 0,6 pollici, un decimo di uno smartphone dell’ultima generazione. Però a noi interessa telefonare. E funziona. Cioè: comporre un numero telefonico o scrivere un messaggio non è proprio cosa facile a meno che tu non abbia dita come stuzzicadenti, ma con un po’ di pazienza problemi non ce ne sono; se la pazienza poi venisse meno ci si può aiutare con una penna. Abbiamo anche a disposizione una rubrica con la possibilità di memorizzare 250 numeri. Non è tutto, perché il J8 ha anche una radio incorporata e, soprattutto, ha la funzione Bluetooth per collegarlo “senza fili” a un vivavoce. Una chicca.
Visto che così piccolo potrebbe essere tranquillamente scambiato per un auricolare, nella confezione del J8 c’è anche un gommino da auricolare e un archetto: il gommino si fissa al retro del cellulare e con l’archetto lo si può mettere all’orecchio così si parla con le mani libere (ma per comporre il numero bisogna staccarlo e schiacciare i tasti, non c’è alcun comando vocale). Insomma, almeno per chi è ospite delle patrie galere non c’è di meglio. Dobbiamo preoccuparci?...
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