Tegola per il boss di Foggia, Roberto Sinesi, 56enne detto “lo zio”, capo del clan Sinesi-Francavilla. Dopo aver incassato la decisione del Ministero che gli ha imposto il carcere duro, adesso Sinesi deve fare i conti con un’altra gatta da pelare. Il Tribunale di Foggia ha disposto la trascrizione delle intercettazioni ambientali, l’elemento principale in mano all’accusa, relativo all’agguato del 6 settembre 2016 quando il capomafia e il suo nipotino sfuggirono alla morte per puro caso. Su di lui pende l’accusa di porto e detenzione illegale di una pistola calibro 7.65, con l’aggravante della mafiosità, arma con cui avrebbe replicato al fuoco dei tre killer che il pomeriggio di quel giorno cercarono di ucciderlo al rione Candelaro.
Imputato nel processo anche l’agente di Polizia Penitenziaria A. T., 46enne di Lucera, accusato di omessa denuncia da parte di pubblico ufficiale e favoreggiamento. L’uomo non avrebbe riferito alla magistratura le confidenze di Sinesi che, in ospedale, parlò apertamente di quel fatto di sangue. La decisione di disporre la trascrizione delle intercettazioni ambientali è avvenuta durante l’udienza che si è svolta nel tribunale di Foggia alla presenza di T., presente in aula e dello stesso Sinesi, in videoconferenza dal carcere romano di Rebibbia dove è stato trasferito pochi giorni fa in regime di “41 bis”, in precedenza si trovava a Palermo. Stessa sorte era toccata al grande rivale Rocco Moretti, condotto da Terni a L’Aquila.
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