Che cosa ha scatenato la furia di Ciro Curcelli, l'agente di Polizia Penitenziaria di Orta Nova che nelle prime ore di sabato ha sterminato la famiglia sparando con la pistola d'ordinanza? Dopo aver esploso alcuni colpi d'arma da fuoco contro la compagna Teresa Santolupo e le figlie Miriana e Valentina, l'uomo ha messo al corrente i carabinieri del triplice omicidio con una telefonata di pochissimi secondi, ma senza spiegarne i motivi. "Ho ucciso mia moglie, ho ucciso le mie figlie, ora mi uccido e lascio la porta aperta".
Le indagini dei carabinieri del comando provinciale di Foggia sono ora indirizzate sul movente. Al momento - spiega Massimiliano Nardella di FoggiaToday - nessuno sembrerebbe in grado di fornire uno spunto utile a trovare un perché a una tragedia senza precendenti a Orta Nova, nemmeno il cognato che abitava al piano di sopra e il figlio Antonio rientrato in giornata da Ravenna. Sono entrambi increduli e sotto shock per l'accaduto.
Ciro "era una persona taciturna e riservata, tifosissimo del Foggia Calcio". Così lo descrive Daniele Capone, vicesegretario del Sindacato di Polizia Penitenziaria.
Una famiglia tranquilla e perbene, ma un lavoro duro e usurante quello di Ciro: otto ore al giorno nel carcere sovraffollato del capoluogo dauno, "di tensione, di guardia alta, in un clima, come quello di Foggia, che non è dei migliori" sottolinea Capone, che aggiunge: "Non ci ha mai confidato nulla".
Cosa però abbia scatenato la furia omicida e suicida di Ciro, al momento resta un mistero. L'assistente capo della Polizia Penitenziaria - che ha lavorato fino al giorno precedente - avrebbe dovuto prestare servizio anche ieri mattina.
Lo sgomento dei colleghi
Quando non si è presentato sul luogo di lavoro e alla notizia della tragedia, in via delle Casermette è calato il silenzio. "Ho vissuto in prima persona lo sconforto generale" rivela Capone, che avanza la proposta di uno sportello per i colleghi che prestano servizio in carcere da un po' di anni: "Oggi ci troviamo con una idoneità fatta all'atto del concorso ma nel corso degli anni solo su segnalazione del dipendente viene fatta una visita. Difficile che in un circuito chiuso come quello del carcere qualcuno richieda in via del tutto spontanea un consulto con uno psicologo. Forse dei controlli periodici potrebbero salvare qualcuno, perché abbiamo anche un'arma assegnata che siamo obbligati a portare fuori servizio".
La proposta del sindacato: "Controlli ogni tre anni"
Sulla stessa lunghezza d'onda anche il segretario generale del sindacato di Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo: "Riteniamo inaccettabile il fatto che un agente, nel corso della sua vita lavorativa, tolte le visite mediche e psicologiche fatte all’atto dell’arruolamento, nel corso degli anni non venga più sottoposto a nessun controllo per accertarne l’integrità psichica, E' necessario prevedere controlli psicologici istituzionalizzati almeno ogni tre anni, forse così qualche vita in più si potrebbe anche salvare".
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