Di Gennaro racconta i cinque giorni della prigionia
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STORIA Di Gennaro racconta i cinque giorni della prigionia 13/05/1975 

Il silenzio sulla sorte del giudice Di Gennaro è stato assoluto per tre giorni. Di lui si erano perse le tracce la sera del 6 maggio, intorno alle 22. La responsabilità del sequestro è stata rivendicata dai Nap la sera del 9, quando dal carcere in rivolta di Viterbo viene mostrata la foto a colori del magistrato con le manette. Di questi tre giorni, evidentemente, i rapitori hanno avuto bisogno per coordinare i loro movimenti e far scattare la molla dell'operazione-rilascio. In questo tempo, forse, entrano nel carcere di Viterbo le armi, l'esplosivo, le manette, la radio ricetrasmittente di cui si serviranno i tre detenuti che feriscono due agenti di custodia e ne sequestrano per 12 ore un terzo. Contemporaneamente viene messo a punto il primo “messaggio” con cui i Nap escono allo scoperto: due fogli battuti a macchina fittamente, con puntini di sospensione al posto del nome del magistrato, della data 9 maggio, della firma Nap. Per ultima, è probabile, entra nell'istituto di pena la foto del magistrato. L'apparato che v'è dietro i tre rivoltosi viene definito “possente”. Eccessivo, di certo, se messo a confronto con le richieste avanzate, e ottenute: il trasferimento dei tre in altri carceri. E' nella cronaca dei cinque giorni del sequestro che forse va ricercata la chiave di questa organizzazione di fantomatici rivoluzionari.

6 MAGGIO - Di Gennaro viene prelevato davanti alla sua abitazione, alla Balduina, “da un gruppo di giovani, ben vestiti, tipo perbene”. Sono armati e lo stordiscono con esalazioni di etere. C'è un furgoncino che lo attende e in una cassa di legno avviene il suo trasferimento. La prima destinazione (ne seguirà un'altra, ma non se ne conoscono le differenze) è una stanza con le pareti intonacate (come risulta dalle foto che i rapitori gli scattano). Del locale il magistrato non darà altre delucidazioni, perché ha sempre gli occhi coperti. La sorveglianza è intensa, “come se essi temessero da un momento all'altro Un'irruzione della polizia e quindi il posto non fosse sicuro al cento per cento”.

7 MAGGIO - La famiglia Di Gennaro denuncia la scomparsa del congiunto. La signora Giovanna, una bella donna bruna, forte, di 43 anni, incomincia una lunga attesa a casa, insieme con i tre figli, Giorgio, Francesco, Marta. Alle 12 si ritrova l'auto del magistrato, parcheggiata contro i cancelli dello Stadio Olimpico: non mostra segni di lotta, unica traccia è una fondina per pistola, nuova, abbandonata sotto i sedili, una “dimenticanza” con cui i rapitori forse vogliono far intendere che sono decisi a tutto, I familiari infatti temono il peggio. Non ricevono nessuna comunicazione. Gli inquirenti battono ogni pista: sequestro, omicidio, suicidio. Ogni ipotesi è possibile.

8 MAGGIO - Il telefono nell'appartamento della Balduina continua a tacere. Un altro motivo di dolore e di confusione entra nella famiglia, con la scoperta di una “pista rosa” che legherebbe il nome del giudice a quello di una giovane donna. Il magistrato ormai ha perso il senso del tempo. Periodi di torpore (“Devono avermi drogato”) si alternano a momenti di totale lucidità. Ha freddo, avverte odore di muffa e di umido. Non mangia mai, tranne qualche biscotto. Ha batuffoli di cotone nelle orecchie, per cui gli giungono suoni attutiti, e le voci dei suoi rapitori deformate (“Avevano anche qualcosa in bocca, tipo fischietto di Pulcinella”), Viene sottoposto a una specie di interrogatorio. Gli sono contestati molti passi delle sue pubblicazioni. Lo accusano di “confondere il proletariato”, con le sue idee progressiste. Gli fanno credere di avere nelle loro mani un altro giudice, Margariti. Parlano dei Nap come di “compagni”, come se loro fossero qualcosa d'altro, magari le Brigate rosse. Non gli danno giornali da leggere. Lo fotografano e sbagliano, devono rifare tutto ' daccapo. Lo informano che a Volterra vi sono otto detenuti in rivolta, e che la sua liberazione è legata alla loro sorte. Salta fuori la storia del fantomatico Sergio D.; era sparito? Doveva svolgere qualche compito? C'è stato un fallimento di quell'azione, per cui hanno ripiegato su un altro gesto? Di Gennaro ricorda che su quel nome si creò agitazione intorno a lui. Gli viene detto che “se Sergio avesse parlato, saremmo stati tutti massacrati”.

9 MAGGIO - Silenzio assoluto. Fino alle 21,30 nessuno parla più di rapimento, né per soldi né per motivi politici. Da quel momento i Nap vengono allo scoperto. E' un susseguirsi di provocazioni e messaggi: quello di Viterbo, quasi contemporaneamente una telefonata alla signora Di Gennaro, registrazione con la voce del rapito depositata in una cabina telefonica, un comunicato delle 0,21 in cui si mostrano al corrente della partenza di un'autocolonna con fotoelettrica partita da Roma alle 22,50 e diretta alla volta di Viterbo.

10 MAGGIO - Le richieste dei Nap vengono esaudite, i tre rivoltosi sono trasferiti. Gli inquirenti impazziscono nella ricerca del Sergio D., che sarebbe stato arrestato e di cui si chiedono garanzie per la sua difesa. Un altro messaggio chiarisce che c'è stato un equivoco. Non si capisce se i rapitori hanno perso la testa o stanno cercando di guadagnare tempo. L'attesa del rilascio del magistrato si fa spasmodica. Incomincia in casa Di Gennaro un'altra notte di ansia.

11 MAGGIO - Altri ricatti dei Nap. La città è sotto una fitta rete di controlli. Altri messaggi vengono recapitati, eludendo i controlli. Il magistrato viene liberato sul raccordo anulare, riesce a salire su un taxi e a raggiungere la sua abitazione, dove incontra la polizia che sta vigilando.

La Stampa 13 maggio 1975
 


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