Giuseppe Di Gennaro è salvo. I Nap (Nuclei armati proletari) lo hanno liberato stasera dopo cinque giorni, alle 22,30, la stessa ora di quando lo avevano rapito, il 6 maggio. Pochi minuti dopo il magistrato, uno dei massimi esperti di problemi carcerari, ha telefonato a casa da un posto pubblico: “Sto bene, non mi hanno fatto nulla. Ora arrivo”.
L'uomo ha preso un taxi che lo ha condotto a via Frigger! 24. Il figlio del giudice è sceso per strada con una bottiglia di whisky in mano, seguito dalla madre. Il taxi è apparso in via Gallo, una stradina laterale in salita, dove era ferma una gazzella dei carabinieri. Di Gennaro voleva scendere a piedi. Ha visto però i giornalisti e i fotografi che gli correvano incontro ed è risalito. La gazzella gli ha fatto largo tra i lampi dei flashes. E' apparso ai cronisti, per un attimo: il volto lucido, la barba lunga. I carabinieri lo hanno protetto e trascinato dentro casa. Non ha parlato. Ha accennato a un sorriso. Poi è sparito.
La pazzesca avventura dei Nap è finita. Rapire un uomo per far trasferire tre detenuti nelle carceri piemontesi? Scatenare una rivolta a Viterbo con detenuti armati, anche di esplosivo, che feriscono due guardie? Sono le domande immediate. Un ricatto fatto di richieste, di messaggi, di comunicati esaltati. Una provocazione che è cominciata all'improvviso venerdì 9 maggio quando, alle 21,30, si riusciva finalmente a sapere che la sparizione di Di Gennaro era in realtà un sequestro. Ieri notte le ultime tre richieste.
Dopo che i detenuti rivoltosi erano stati trasferiti alle prigioni di Alessandria, Saluzzo e Fossano. C'era stata un'azione coordinata tra il nucleo “interno” (i detenuti Pietro Sofia, Martino Zichitella e Giorgio Panizzari) e quello “esterno” (che si firmava “29 ottobre”). L'azione era finita ieri notte quando Sofia dalle prigioni di Alessandria aveva fatto uscire un comunicato con la parola d'ordine “Saluti Zaccaria”. Per loro, che si erano consultati, non c'era motivo di prolungare oltre il sequestro. A quel punto entrava in azione il nucleo “esterno”.
Alle 1,30 di ieri notte i Nap lasciavano in una cabina telefonica di Roma vicino Porta San Giovanni un lungo e delirante messaggio “ideologico” che poneva tre nuove condizioni per il rilascio di Di Gennaro: 1) sicurezza definitiva dell'accoglimento completo delle richieste del compagni Sofia, Panizzari e Zichitella; 2) cessazione immediata di ogni misura repressiva contro gli altri proletari detenuti nel carcere di Viterbo; 3) i “nostri” tempi di sicurezza per la liberazione. Richieste che davano l'impressione che il gruppo volesse solo prendere tempo. La “sicurezza” dei detenuti rivoltosi era già assicurata; la situazione nelle carceri di Viterbo non era esplosiva; le misure “repressive” erano consistite in perquisizioni nelle celle alla ricerca di eventuali armi, dopo l'azione scatenata dal terzetto che aveva a disposizione un “arsenale”.
Naturalmente i Nap volevano pubblicità a questo messaggio, per radio e per televisione. Erano poi loro stessi a spiegare il caso “Sergio D.”, una storia che aveva fatto impazzire polizia e carabinieri e che sembrava essere determinante per la salvezza del Di Gennaro. Sergio D. è uno dei Nap. I terroristi lo avevano perso e credevano che fosse stato arrestato o fermato. Temevano per lui e avevano fatto dire dalla viva voce del magistrato che gli fosse messo a disposizione un avvocato di fama. Questo caso aveva paralizzato le trattative per tutta la giornata di ieri. Poi Sergio D. era rientrato nel covo dei Nap. Si erano sbagliati. Tutto sembrava pronto per la liberazione del magistrato.
Di ora in ora l'attesa si è protratta fino alle 9 di stamane quando una telefonata anonima chiedeva che tutti i detenuti appartenenti ai Nap fossero difesi da famosi avvocati. Era una richiesta falsa? Alle 13 i magistrati romani tenevano un vertice a Palazzo di giustizia, presente il responsabile dell'Antiterrorismo di Napoli. Il ministro dell'Interno Gui riceveva il capo della polizia e il capo dell'Antiterrorismo, Emilio Santillo. Alle 17,30, dopo sei ore e mezzo di silenzio arrivava una telefonata all'agenzia Ansa. La voce veniva registrata: “Sono del Nap. A tutte le richieste fatte finora serie deve aggiungere una quarta: tutti i detenuti appartenenti al Nap devono essere difesi dagli avvocati Bovio, Sarno, Pisapia di Milano; Gatti e Vassalli di Roma. Questo comunicato deve essere dato immediatamente alla radio, alla televisione e a tutti i quotidiani. E' una richiesta formale del gruppo esterno Nap”.
E' un messaggio autentico? Perché questa richiesta “formale”? Le condizioni sono accettabili. Il professor Adolfo Gatti rende noto di essere “a disposizione”. L'avvocato Franz Sarno, da Milano, è d'accordo “a prescindere da qualsiasi colore politico”. Ma cosa vogliono veramente questi nuclei armati proletari? Farsi pubblicità a getto continuo? Ridicolizzare le autorità di governo e gli organi di informazione? Fino a quando vogliono continuare a dettar legge? La famiglia Di Gennaro ha chiesto espressamente alla polizia di non muoversi. Ma l'indagine sul rapimento del giudice non può interrompersi, a Roma città laziale il carcere è in agitazione. Ci sono, alle 21, diciannove detenuti sui tetti che gridano slogan per la riforma dei codici. Sono lì da ieri sera, la protesta era nata contro le perquisizioni nelle celle, disposte dal sostituto procuratore di Viterbo. La situazione è tranquilla. Si sta indagando per scoprire come possono essere entrate in carcere le armi per i tre dei Nap e la foto del Di Gennaro. Si esclude che siano passate dal controllo pacchi, dove funziona un “metaldetector” e dove assicura il direttore - il lavoro delle guardie è ineccepibile. Si pensa ad un connivente coi Nap: forse qualcuno che è stato pagato.
A Roma la polizia sta cercando di ricostruire come Di Gennaro è stato rapito la notte del 6 maggio. E' caduto in una trappola? Aveva un appuntamento con qualche detenuto in libertà provvisoria che conosceva? La pista dell'“auto rossa” (vista da un testimone accanto a dove è stata ritrovata l'automobile del magistrato) viene ripresa in considerazione. Sono sette le armerie che hanno venduto una fondina di cuoio uguale a quella, nuova di zecca, che era sotto il sedile della “A 111” color crema, ritrovata la mattina del 7 maggio parcheggiala contro i cancelli della curva nord, dello Stadio Olimpico. Si spera di scoprire chi l'acquistò. Ma è difficile.
La Stampa 12 maggio 1975