Il recluso, un siciliano di 38 anni, è ricorso in appello nega di aver offeso l'agente di custodia che nella notte di Capodanno gli aveva ordinato di far silenzio.
« Tua moglie ti fa le corna »: questa frase pronunciata la sera del 1" gennaio 1967 nel carcere di Fossano dal recluso Antonio Pocaroba, di 35 anni — attualmente detenuto a San Giminiano — all'indirizzo di un agente di custodia, gli era valsa una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale e una condanna a undici mesi di reclusione nel processo svoltosi davanti al pretore.
Il Pocaroba, che è assistito dall'avv. Dino Andreis, ha però ricorso in appello e il dibattimento sarà celebrato tra breve davanti al Tribunale. L'imputato sostiene infatti la propria innocenza e chiede di essere assolto con formula ampia. Il Pocaroba racconta: « Festeggiavamo il Capodanno e ognuno di noi aveva ricevuto pacchi dalle famìglie con dolciumi e bibite. Eravamo un po' allegri, per almeno un giorno avevamo dimenticato la tristezza del luogo dove eravamo relegati. Con altri miei amici ho cominciato anche a scherzare quando ad un tratto è intervenuto un custode che ci ha ordinato di far silenzio. Abbiamo subito obbedito. Nego quindi nel modo più assoluto di aver ingiuriato la guardia facendo allusioni a sua moglie ».
La parte lesa, invece, nel dibattimento davanti al pretore, come già in precedenza nella denuncia sporta dalla Direzione del carcere alla Magistratura, ha confermato che le sue orecchie avevano udito distintamente il Pocaroba pronunciare le parole incriminate, forse perché indispettito dal suo intervento per far cessare il chiasso nella camerata. « Neppure per sogno — racconta il recluso — perché in quell'occasione io parlavo con ì miei amici in dialetto siciliano e l'agente è invece originario della Sardegna. Può darsi che per scherzo, come si fa fra detenuti, abbia detto ad un compagno che la propria moglie in quello stesso momento a casa se la spassava, ma per nessun motivo mi sarei mai permesso di alludere alla guardia ».
Il Pocaroba, che in caso di conferma della sentenza di primo grado dovrebbe scontare per intero la pena del pretore, in aggiunta a quella che sta espiando, spera comunque nella comprensione dei giudici del Tribunale.
La Stampa, 6 gennaio 1968