Lo ha liberato dopo avere ottenuto di essere trasferito a Torino e la pubblicazione di un allucinante messaggio. Deve scontare 30 anni per un omicidio a Sanremo. « Stai tranquilla, tutto è finito, sto bene » con queste parole il giudice di sorveglianza del penitenziario, Giovanni Falcone, ha rassicurato per telefono la moglie mettendo fine ad un incubo che si era protratto per oltre sette ore. Sette lunghe ore durante le quali il magistrato era rimasto prigioniero di un detenuto, Vincenzo Oliva, legato ad una sedia nell'ufficio matricola della prigione, con un coltello puntato alla gola. Una vicenda che ha tenuto tutti con l'animo sospeso, e che da un momento all'altro poteva trasformarsi in tragedia.
Oliva, che sta scontando una condanna a 30 anni per l'assassinio del benzinaio Ottavio Perrone, ucciso il 9 maggio '64 a Sanremo per una rapina che aveva fruttato poco più di 30 mila lire, aveva minacciato di ammazzare il giudice al primo tentativo degli agenti di entrate nell'ufficio dove si era asserragliato con l'ostaggio. La drammatica storia si era iniziata poco dopo mezzogiorno. A quell'ora il giudice di sorveglianza Falcone era arrivato al penitenziario per la consueta visita settimanale. Appena entrato nell'ufficio matricola è stato aggredito dall'Oliva, che aspettava nel corridoio con altri reclusi. Puntandogli alla gola un accuminato coltello, il detenuto l'ha legato ad una sedia, poi si è barricato all'interno dell'ufficio.
L'Oliva, che aveva già trascorso un periodo di pena in questo carcere, dal quale era stato trasferito in seguito ad una rissa con altri reclusi (sembra fosse stato accoltellato), era nuovamente stato mandato sull'isola dal carcere di Pisa tre giorni or sono. L'omicida non aveva accettato di buon grado il nuovo trasferimento: aveva paura, non appena entrato in carcere aveva detto al direttore che voleva essere mandato altrove perché aveva rivisto tra i reclusi quelli che lo avevano aggredito e temeva per la sua incolumità. Oggi aveva chiesto di poter parlare con il giudice di sorveglianza per esporgli le sue richieste, ma è andato al colloquio con un coltello in tasca ed ha preso il magistrato in ostaggio. Mentre rinforzi di polizia e carabinieri arrivavano da Trapani, il procuratore della Repubblica ed il direttore del carcere hanno tentato per tutto il pomeriggio di convincere l'Oliva a desistere dal suo atteggiamento, ma il detenuto ha rifiutato di trattare con loro. Ad un certo momento si è avuto il timore che la rivolta potesse coinvolgere altri reclusi: nel penitenziario ci sono fra gli altri due brigatisti rossi e Sante Notarnicola, luogotenente del bandito Cavallero, capo della banda di rapinatori che terrorizzò il Piemonte e la Lombardia con le sue sanguinose imprese. Alle 17 il detenuto ha accettato di parlare al telefono con un redattore dell'agenzia Ansa, al quale ha dettato un messaggio pretendendo che venisse pubblicato da tutti i giornali e diffuso immediatamente dalla radio e dalla televisione.
Un testo delirante, nel quale il detenuto afferma fra l'altro che «oggi un militante individualista anarchico aderente ai nuclei armati proletari, rispedendo alla brutale repressione di Stato diretta ad eliminare fisicamente il combattente all'interno delle carceri gestite dal potere borghese, ha inteso rispondere con la rappresaglia rivoluzionaria queste gravissime provocazioni sequestrando il magistrato preposto alla sorveglianza del carcere di Favignana». Rifacendosi ai primi slogans contro il potere, l'Oliva ha cercato di dare una motivazione politica al suo gesto di ribellione, sconfessata però nelle ultime righe del messaggio, dove chiede (rivelando il vero scopo della sua azione) «l'immediato trasferimento al carcere di Torino e garanzie sull'incolumità fisica e personale», promettendo che «alla minima repressione risponderà con la rappresaglia rivoluzionaria». Nonostante gli fosse stata data assicurazione che le sue richieste sarebbero state accolte, il detenuto ha continuato a tenere il magistrato in ostaggio, sorvegliando ogni mossa degli agenti e urlando che l'avrebbe ucciso se qualcuno avesse tentato di entrare.
La situazione si è fatta drammatica col passare delle ore: l'Oliva diffidava, aveva paura, temeva qualche tranello. Sordo alle assicurazioni che gli venivano date e continuava a gridare insolenze, a minacciare. Verso le 19, infine, ha lasciato entrare due magistrati, i sostituti procuratori Giangiacomo Ciaccio Montalto e Francesco Garofalo, che si sono impegnati formalmente affinché tutto quello che aveva richiesto venisse concesso. Dopo qualche tentennamento, altri scatti d'ira («Mi volete fregare, io lo ammazzo»), ha consegnato il coltello e il giudice Falcone è stato liberato. Erano le 19,30, l'incubo era finito.
La Stampa 9 ottobre 1976