La prima ribellione nel carcere-modello di Roma.Nella prigione sono rinchiuse 120 donne - Chiedono la visita del ministro Zagari perché si renda conto della loro situazione - La manifestazione, dicono gli agenti di custodia, non desta per ora alcun timore.
Una donna agita nell'aria due scodelle di metallo e ne cava un suono ritmato. Le sue compagne in coro incominciano a scandire la rabbia e la protesta di tutte. Sul tetto del carcere-modello di Rebibbia le detenute sono arroccate da ieri sera: prima una ventina, poi più del doppio, oggi un numero fluttuante a seconda delle ore e del disagio che il sole cocente determina. Le loro figure sono in continuo movimento. Si distinguono nitidamente le più giovani dalle più anziane, le più battagliere, le più tenaci. Il vento porta, a tratti, le loro voci. Quando parlano nei megafoni, le parole arrivano nitide. Dicono che nell'interno del carcere il vitto è immangiabile e l'assistenza sanitaria inesistente. Lamentano le lungaggini dei procedimenti giudiziari e il protrarsi della carcerazione preventiva. Parlano dei tranquillanti che abitualmente gli vengono somministrati e delle celle d'isolamento di cui arbitrariamente si fa uso nei confronti di alcune di loro.
Chiedono che il ministro Zagari si rechi da loro, per prospettargli le loro condizioni di vita e sollecitare il suo interessamento per una sollecita riforma del codice e | del sistema carcerario. Da questa mattina intorno alle mura del carcere si è man mano radunata una folla sempre più numerosa. Sono parenti delle detenute, abitanti di San Basilio e Pietralata, giovani della sinistra extraparlamentare venuti dalla città a portare la testimonianza della propria solidarietà alle manifestanti. Partono, dal gruppo della gente in sosta, parole di incoraggiamento. Si levano i pugni chiusi. Si intrecciano le notizie.
In questo momento a Rebibbia sono chiuse 120 donne. Una ventina sono in infermeria. La protesta serpeggia fra tutte le altre. Ieri sera, alle 22,20, quando le prime sono salite sul tetto, circa sessanta si sono rifiutate di entrare nelle loro celle e hanno trascorso la notte nei cortili interni, quelli riservati alla passeggiata quotidiana. Alle prime luci del giorno quanto accadeva all'interno è venuto a conoscenza di tutti: sono stati issati striscioni e cartelli per chiedere un incontro col ministro di Grazia e Giustizia, sono incominciati gli slogan e le invettive, dalle due borgate fra cui il carcere si trova sono partite le notizie dell'agitazione.
Dall'interno vengono dichiarazioni rassicuranti, che tendono a ridimensionare la portata della protesta. La situazione è sotto controllo, si assicura. Non si segnalano incidenti, i pasti sono stati consumati regolarmente, la manifestazione non desta timori. Nel pomeriggio, infatti, la direttrice del carcere — dottoressa Elda Sensani — non sì trovava neppure fra le detenute, ma a casa sua. « Il sole le ha stancate. Questa notte andranno a dormire tutte, senza fare storie » dicono con pesante ironia gli agenti di custodia che rispondono al centralino telefonico. Si prevede un ritorno alla normalilità entro domani.
Tuttavia l'avvenimento rimane notevole, indipendentemente dalle sue conclusioni. Non era mai avvenuto che una manifestazione di protesta nascesse in forma autonoma in un carcere femminile e trovasse un seguito cosi vasto. Quando la rabbia esplodeva nei reparti maschili, al massimo si organizzavano manifestazioni di solidarietà fra le detenute. « La massa delle recluse è sorda ad ogni discorso politico. Non mostrano interesse per ogni tentativo di renderle consapevoli della loro condizione. Esauriscono in meschini litigi, beghe personali, esplosioni di violenza, la propria aggressività e vitalità» dicevano le studentesse che per motivi politici avevano trascorso periodi più o meno lunghi fra le detenute « comuni ».
E le statistiche forniscono cifre allarmanti: secondo ristar il 22 per cento sono analfabete, il 68 per cento hanno un'istruzione a livello elementare, il 9 per cento hanno frequentato la scuola media o media superiore, l'1 per cento hanno una cultura universitaria; ma secondo una indagine compiuta dal prof. Frintino dell'Università di Firenze, su un campione di 150 donne giudicate in questa città nel '71, le analfabete sono esattamente una su tre. Anche le inchieste e gli studi a carattere sociologico svolti in questi ultimi anni hanno sottolineato come fra le donne più sottile sia la violenza psichica e morale esercitata dalle istituzioni carcerarie, e come meglio fra loro si raggiunga quella «spoliazione del sé» che si traduce in personalità annullata e accettazione passiva delle regole. Da Rebibbia è partita la prima protesta maturata e organizzata in un carcere femminile. Al 31 dicembre '72 le detenute in Italia erano 1047, senza contare le 200 internate nei manicomi giudiziari e nelle case di lavoro: una potenziale carica esplosiva, se non si interviene in tempo, con coraggio e civismo.
La Stampa 26 luglio 1973