Lo “scandalo” dei manicomi giudiziari esce dagli argini degli “addetti ai lavori” e imbocca strade nuove, imprevedibili. Questa mattina - con un esposto di dieci cartelle presentato al presidente della Camera dei deputati, al procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli, al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere - sono stati denunciati i ministri della Giustizia, Reale e della Sanità, Gullotti; i prefetti delle province in cui hanno sede i manicomi giudiziari, la commissione di vigilanza e gli ispettori generali del ministero dell'Interno. L'accusa è di concorso nei reati di omicidio, omissione di soccorso, sevizie, omissione degli atti di vigilanza e di intervento dovuti per legge.
L'iniziativa è di un gruppo di avvocati, il collegio di difesa degli ex internati che coraggiosamente hanno messo sotto accusa i “lager” dove si custodiscono e si “curano” i malati di mente che hanno commesso reato (“Sopravvivere per uscire e denunciare come centinaia di esseri umani sono trattati, peggio delle bestie: questo è stato il pensiero che mi ha sorretto per tutto il tempo che sono stato là dentro” ha detto Paolo Tarvini, uno dei primi che ha denunciato il manicomio di Aversa dove è stato rinchiuso dal '71 al '73. Era stato arrestato per il furto di una radio. Adesso è stato riconosciuto sano di mente e sarà processato).
La tesi dei legali è questa. Se nei manicomi giudiziari la vita è subumana, all'insegna della violenza e dell'oppressione, così da condurre i ricoverati a una disperazione senza fine e talora alla morte, la colpa non è soltanto dei direttori d'istituto, dei loro collaboratori, dei singoli responsabili di sevizie e prevaricazioni. Ci sono altre responsabilità che l'autorità giudiziaria deve valutare: la carenza delle strutture e la mancanza del personale nel '74 (ad esempio, 35 medici e 29 infermieri dovevano assistere 3 mila ricoverati), ma anche la “mancanza di volontà di modificare le cose, l'indifferenza nei confronti di un gruppo sociale emarginato e improduttivo, la negligenza di chi doveva attuare i necessari provvedimenti per motivi di igiene e sanità pubblica, la disapplicazione della legge che prevede ispezioni e controlli e rimedi immediati alle eventuali carenze riscontrate”.
Il documento di denuncia espone alcuni episodi precisi, fra i più clamorosi raccolti dai legali e relativi agli ultimi cinque anni. Soltanto per quanto riguarda Aversa, si legge di due suicidi nella primavera '73, di un diciottenne morto sul letto di contenzione dove era legato da 27 giorni, di un uomo immobilizzato da dieci anni e morto per mancanza di assistenza (sul suo letto furono trovate formiche, feci, scarafaggi, rifiuti di cibo, vermi), di un orrendo strappo agli organi genitali di un detenuto legato al letto di contenzione (la ferita gli fu suturata con otto punti, senza anestesia e senza intervento del sanitario: ottobre '72). “Le torture fisiche e psichiche si riferiscono non soltanto ai singoli casi di violenza - è scritto nell'esposto - ma sono connesse alle generali condizioni igienico-sanitarie dei manicomi”. Di queste condizioni c'è una immagine anche nei documenti ufficiali, come la perizia d'ufficio ordinata dalla procura di Napoli per il manicomio di Aversa e depositata pochi giorni addietro. I periti (hanno lavorato affiancati al direttore dell'istituto, che è indiziato di reato; ora il collegio di difesa chiede una nuova perizia, alla presenza dei legali delle parti lese) hanno riscontrato “la totale inesistenza di attrezzature ricreative e socio-terapeutiche, la completa assenza del reparto chirurgico, la collocazione delle stoviglie degli internati nei cessi, i letti senza lenzuola nel reparto dementi e cronici, le terapie non attuate per mesi o per anni, nessuno dei 7 malati legati al momento della visita, in stato di agitazione psicomotoria o di eccitamento psichico tale da giustificare il fatto che fossero legati”. Come mai - si chiedono i legali - nessun ispettore ministeriale vide mai tali cose? Perché ogni denuncia di abuso fu archiviata? Perché la magistratura si è palleggiata tanto a lungo questa spinosa faccenda senza intervenire? “E neanche ora questi pericoli di affossamento sono finiti - hanno detto questa mattina gli avvocati Mattina e Rienzi -.
Sono in atto a Messina (per l'istituto di Barcellona Pozzo di Gotto), a Firenze (per quello di Montelupo), a Napoli. Qui si mira alla formalizzazione del processo: significherebbe rinviare l'incartamento a Santa Maria Capua Vetere”.
La Stampa 28 marzo 1975