Polemica su un capomafia ergastolano, passato dal 41bis ai domiciliari. Il Dap lancia l'allarme: "Troppi permessi e visite, così si snatura l'isolamento". Dai rigori del 41 bis al G8 di Rebibbia con i detenuti comuni e poi a casa. Tutto in pochi mesi, giocando sulle leve di istanze, buchi normativi, burocrazia e certificati medici.
Il salvacondotto perfetto è riuscito all'ergastolano Raffaele Bevilacqua, 69 anni, avvocato, politico dc andreottiano, capomafia di Enna, benedetto da un pizzino di Bernardo Provenzano ("è una brava persona") e in rapporti tanto con l'ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo che con il pd Mirello Crisafulli. Alla guida del territorio in cui si tenne il summit che decise la campagna stragista di Cosa nostra nel 1992, Bevilacqua, in cella per mafia e un omicidio da 15 anni, ha ottenuto i domiciliari per problemi cardiaci.
Un braccialetto elettronico ne controllerà i movimenti. Dopo la morte di Totò Riina, in tanti tra il popolo dei 742 ristretti in regime di carcere duro in 13 carceri italiane si stanno dando un gran da fare, dosando anche larvate ammissioni, per ottenere che un giudice metta fine all'attualità del pericolo di rapporti mafiosi con l'esterno. Un presupposto indispensabile per lasciare il 41 bis. Molto si gioca al tavolo dei tribunali di sorveglianza.
Perché il carcere duro è ormai oggetto di un martellante succedersi di colpi tesi a ridurne l'efficacia. La norma che permette al garante nazionale dei detenuti di far visita a chiunque e avere colloqui riservati, ha autorizzato, per esempio, i garanti regionali e comunali, di nomina politica locale, a muoversi nella stessa direzione e a ottenere l'ok dai magistrati di sorveglianza. Una pratica che al Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, guardano con preoccupazione avvistando il rischio che si trasformi nell'ennesima testa d'ariete contro l'isolamento assoluto dei boss.
È accaduto per il camorrista, Umberto Onda, reggente del clan Gionta di Torre Annunziata che ha ottenuto il via libera dal giudice di Spoleto. E quando il Dap si è opposto, la magistratura di Perugia ha confermato. Nell'attesa di un parere della Cassazione, il colloquio si è tenuto. Non è andata bene a Salvino Madonia, l'assassino di Libero Grassi, dell'omonimo clan palermitano. Prima Viterbo e poi Roma hanno opposto un doppio no all'incontro con il garante del Lazio.
Ma a Sassari, il garante locale è arrivato a un passo dall'incontro con il camorrista Francesco Schiavone, nel carcere più blindato d'Italia. Le pronunce difformi complicano una situazione già molto elastica. "Mi chiedo cosa accadrà quado anche a Corleone nomineranno un garante comunale dei detenuti", ironizza un alto dirigente delle carceri.
Le maglie si allargano anche sul fronte dei permessi di necessità. Ovvero quelle visite blindate ai familiari morenti o alle tombe di congiunti. Domenico Gallico, 'ndrina di Palmi, 7 ergastoli all'attivo, all'inizio di quest'anno ha avuto il via libera per un colloquio con la madre, ergastolana come lui ma con pena sospesa per motivi di salute.
Sarebbe bastato andare con la memoria al 2012 quando era riuscito a ottenere con il pretesto di una diffamazione di farsi interrogare da un magistrato di Reggio. Gallico lo massacrò a calci e pugni in un agguato in piena regola. E il 41 bis smotta anche quando di mezzo ci sono i figli. Il tentativo di evitare l'allontanamento dei minori da una famiglia mafiosa, ha portato un boss della 'ndrangheta a impegnarsi in un progetto educativo. Che almeno per qualche ora nei fatti cancella il carcere duro.
La Repubblica - 26 maggio 2018