Dal carcere di Poggioreale, dove è detenuto dal 29 maggio del 2017, Dante Zullo continuava a impartire ordini e a governare sul territorio di Cava de’ Tirreni un giro di usura ed estorsioni. Ma se da un lato lui proseguiva nelle attività criminali, dall’altro anche le indagini della Direzione distrettuale antimafia continuavano ad andare avanti, con intercettazioni di colloqui, sequestri di documenti e acquisizione della corrispondenza dal carcere.
Ieri mattina sono sfociate in 14 ordinanze di custodia cautelare (11 in carcere e tre ai domiciliari) e nella contestazione a Zullo e ad altre sette persone del reato di associazione a delinquere di stampo camorristico, una novità rispetto ai capi d’imputazione del 2017. Altre 47 persone risultano indagate, ma per 16 di loro si tratta di accuse di favoreggiamento o di false dichiarazioni al pm perché, vittime del racket o sotto strozzo, hanno preferito negare finanche l’evidenza per timore di ritorsioni.
Il clan. Sono tre i gruppi criminali ricostruiti dal sostituto procuratore Vincenzo Senatore, ma sebbene operassero in maniera autonoma si ritiene che tutti avessero in Dante Zullo una figura carismatica di riferimento, e non è escluso che esistesse tra loro una sorta di patto federativo.
Il sodalizio guidato dall’ex esponente del clan Bisogno è l’unico in cui si rinvengono i tratti del vincolo camorristico. Ne facevano parte con lui i figli Vincenzo e Geraldine, la moglie Carmela Lamberti e poi Carlo Lamberti, Antonio Santoriello, Vincenzo Porpora e Antonio Di Marino, che a Cava gestisce un panificio. A fare da tramite per le intimidazioni che il “boss” impartiva dal carcere era la figlia Geraldine, mentre il fratello Vincenzo comunicava le sue direttive dagli arresti domiciliari.
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