«Non sussistono dubbi sull'esistenza, conclamata e cristallizzata nei numerosi provvedimenti giudiziali della cosca “Giampà” operativa in Lamezia Terme». È quanto scrive il gup di Catanzaro Barbara Saccà nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato 12 dei 14 imputati nel processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione della Dda denominata “Nuove Leve” che ha portato in cella l’ultima generazione del clan Giampà.
Il giudice nelle 80 pagine di sentenza conferma che la cosca «sia pure a ranghi ridotti a causa delle detenzioni e delle numerose collaborazioni con la giustizia, ha continuato ad operare anche per garantire il sostentamento ai detenuti dal 2012 in poi, veicolando all’esterno direttive e gestendo di fatto le nuove leve, cioè i ragazzi che proseguivano con le attività estorsive». La sentenza ricostruisce l’organigramma del clan lametino: «Il definitivo assestamento della cosca Giampà e del gruppo dei giovani ragazzi denominato nuove leve, interveniva nel settembre del 2012 a seguito dell'avvio della collaborazione con la giustizia del boss Giuseppe Giampà. Sostanzialmente - scrive il gup - la collaborazione del boss privava la cosca di un elemento di vertice e l’ associazione vi poneva rimedio affidandosi a un componente del gruppo di fuoco, Domenico Giampà alias “Buccacciello”. A lui sarebbe stata affidata la direzione della cosca, divenendo il “Buccacciello”, riferimento diretto, insieme a Vincenzo Bonaddio, degli affiliati in libertà per le attività estorsive riguardo alle quali impartiva costantemente precise direttive veicolate all’esterno attraverso la moglie Maria Muraca e con la complicità di personale della Polizia Penitenziaria».
La sentenza sottolinea l’importanza dell’attività estorsiva per il clan che «oltre ad assicurare alla cosca un immediato tornaconto economico, consente alla stessa di mantenere il dominio del territorio».
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