E’ al carcere duro. Da Opera, dove avrebbe minacciato il direttore e aggredito alcuni agenti, Michele Zagaria, in estate, è stato trasferito a L’Aquila. E’ un boss in crisi: le indagini della Dda, il 41 bis e l’ondata di pentimenti stanno indebolendo la sua cosca. Il capoclan l’ha gestita durante la latitanza, per 16 anni, e dalla cella, sfruttando i colloqui con i familiari, le lettere e i messaggi lanciati in videoconferenza nei processi.
Le parole del boss
E martedì l’ergastolano di Casapesenna è tornato a parlare: lo ha fatto nel dibattimento in corso a Napoli, dinanzi alla Corte d’Assise, dove è imputato con Antonio Iovine per l’omicidio di Nicola Villano Zeppetella. Capastorta, assistito dagli avvocati Angelo Raucci e Andrea Imperato, ha rivendicato il diritto alla socialità con un altro detenuto e, con la solita ambiguità, ha dichiarato di ‘non aver nulla’ contro i magistrati e la procura.
A fermarlo è stato il presidente Giuseppe Provitera: al mafioso ha spiegato che quella (la Corte d’Assise) non era la sede adatta per valutare le sue richieste. Gli atti del processo sul delitto Villano, intanto, sono stati consegnati nelle mani del presidente del tribunale: questione di ‘incompatibilità’. Provitera, infatti, aveva già affrontato il caso quando era in servizio presso il palazzo di giustizia sammaritano. A valutare le accuse contestate a Zagaria e a Iovine, dal 2014 collaboratore di giustizia, dovrà essere un’altra sezione.
Libero il delfino di Zagaria
Se Capastorta, almeno superficialmente, si mostra debole, a volte in bambola, se gli inquirenti stanno individuando con costanza i colletti bianchi che hanno protetto e reso forte la sua cosca, il gotha del clan, a causa delle recenti scarcerazione, rischia di rigenerarsi. Il delfino e nipote di Michele Zagaria, Filippo Capaldo, difeso dagli avvocati Giuseppe Stellato e Ferdinando Letizia, a novembre ha lasciato la casa circondariale di Bancali. Il boss di Casapesenna lo aveva designato suo erede ed infatti, prima dell’arresto, aveva cominciato a gestire personalmente i rapporti con imprenditori legati al clan e i con i ras dell’associazione. Ora è libero, proprio come lo zio, Carmine Zagaria (ma con obblighi). E a breve dovrebbe tornare in provincia di Caserta pure l’altro germano di Capastorta, Pasquale Zagaria (in cella dal 2007). Tutti pezzi da novanta dell’associazione criminale.
La cosca dei Casalesi che somiglia ad un ‘ndrina
In diverse occasioni Massimiliano Caterino e altri collaboratori di giustizia hanno riferito ai giudici che le relazioni tra il gruppo mafioso con buisnessmen e politici insospettabili erano curati direttamente dalla ‘famiglia’. Quella degli Zagaria più che una fazione dei Casalesi è una sorta di ‘ndrina: la nervatura di parentele su certe tematiche la rendono impenetrabile. Finché a rompere il vincolo di omertà non sarà il boss o uno dei suoi congiunti ‘fidati’, i meccanismi che hanno consentito alla cosca di fare affari con i rifiuti, in pieno periodo emergenziale, le dinamiche che hanno concesso al boss una latitanza agiata, lunga 16 anni, e i patti imprenditoriali, stretti al sud e al nord, rischieranno di restare inviolate.
La crisi di Capastorta
Ma Michele Zagaria è un boss in difficoltà: è stato ad un passo dal collaborare con la giustizia. Circa due anni fa aveva scritto una lettera alla sorella Beatrice (ora in carcere per camorra). In quella missiva le aveva annunciato la sua intenzione di parlare con i magistrati dell’Antimafia: “Vorrei un consiglio per far sì che finisca questo stillicidio contro di voi. Vi accontenterei in qualsiasi maniera. Non lo posso scrivere, se no prendono qualche provvedimento, ma tu hai capito a cosa mi riferisco”. Era pronto a pentirsi. Ma la donna e le moglie dei fratelli lo dissuasero dal farlo. “Tanto tu il carcere ti stai facendo – gli disse Beatrice durante un colloquio ad Opera – e te lo devi fare fratello mio. Non possiamo cambiare niente”. “Tu adesso devi vivere per noi – aggiunse Francesca Linetti, la cognata. – Non ti portano la sigarette mancante, pazienza. Quello che spetta non lo danno? Non fa niente!”.
Effetto Schiavone
Ad acuire il suo disfacimento ora c’è anche il neo-pentito Nicola Schiavone. Potrebbe dargli ‘il colpo di grazia’: tra il 2008 e il 2009 tra il figlio di Sandokan e Capastorta c’è stata una guerra fredda senza precedenti. Reciprocamente erano pronti ad eliminarsi fisicamente. “Stavamo passando per le vie di fatto”, ha confessato il collaboratore di giustizia alla Dda. Adesso lo scontro si sta ripetendo. Ma su un altro piano. Schiavone è il collaboratore di giustizia che accusa, Zagaria il boss in cella che incassa. Eppure, se Capastorta ‘perde’, fuori, con la famiglia che si sta ripopolando, c’è il pericolo che il clan riprenda forza.
cronachedi.it