Detenuto nella Casa di reclusione di Parma, in espiazione della pena dell'ergastolo per concorso in omicidio aggravato, detenzione illegale di armi, ricettazione aggravata dalle finalità mafiose, Pasquale Pititto aveva chiesto il differimento della pena per motivi di salute. Istanza che gli era stata respinta il 30 marzo dello scorso anno dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna in quanto assenti i presupposti di legge al fine del differimento obbligatorio della pena. Quanto, invece, al differimento facoltativo della pena di cui per i giudici “la rilevantissima pericolosità sociale che contrassegnava la posizione del detenuto Pititto ne preclude il riconoscimento in ogni forma”.
Da qui il ricorso in Cassazione di Pasquale Pititto in Cassazione, che è stato condannato all’ergastolo quale autore materiale (insieme a Nazzareno Prostamo) dell’omicidio di Pietro Cosimo, consumato nel 1991 a Catanzaro su mandato del boss del clan dei Gaglianesi di Catanzaro Girolamo Costanzo che all’epoca pagò cinque milioni di lire ai due killer di Mileto.
Sulla sedia a rotelle, invece, Pasquale Pititto si trova dal 1992 a seguito di una sparatoria nella quale è rimasto ferito a seguito di un attentato posto in essere dal clan rivale dei Galati di San Giovanni di Mileto. Dal 2001, tranne breve periodi, aveva fruito del regime della detenzione domiciliare a causa delle sue condizioni di salute. Il 16 febbraio del 2017 è stato però nuovamente arrestato nell’ambito dell’operazione contro il narcotraffico internazionale denominata “Stammer” e coordinata dalla Dda di Catanzaro. Secondo l'accusa, Pasquale Pititto sarebbe uno dei principali organizzatori e gestori di un traffico internazionale di cocaina, finalizzato a introdurre in Italia quantità pari a otto tonnellate di sostanza stupefacente. Stando così le cose, il Tribunale di Sorveglianza lo scorso anno ha rigettato l'istanza di differimento urgente, nonostante la relazione medica il 6 gennaio 2018 avesse confermato che la Casa di reclusione di Parma non è adeguatamente attrezzata per le esigenze riabilitative del detenuto. Gli inquirenti della Dda di Catanzaro avevano inoltre sottolineato che Pasquale Pititto utilizzava un altro accesso da un immobile attiguo, utile per incontrare i complici e porsi al sicuro da eventuali controlli.
Nel marzo dello scorso anno, infine, il Ministero della Giustizia ha accolto per Pititto la richiesta di applicazione del carcere duro (regime previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario). Garantite le cure sanitarie necessarie (e per i giudici esistono in Italia istituti di pena capaci di assistere tale detenuto), anche per la Cassazione non esiste uno stato di incompatibilità di Pasquale Pititto con il regime carcerario. Pasquale Pititto ha infine rimediato una condanna a 25 anni di reclusione (pena definitiva) nel processo nato dalla storica operazione “Tirreno” scattata nel 1993 ad opera dell’allora pm della Dda di Reggio Calabria, Roberto Pennisi. Pasquale Pititto, unitamente al cognato Michele Iannello (collaboratore di giustizia e condannato per l'omicidio di Nicolas Green) è stato ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Vincenzo Chindamo e del tentato omicidio di Antonio Chindamo, fatti di sangue commessi a Laureana di Borrello l’11 maggio 1991 su mandato del boss Giuseppe Mancuso di Limbadi.
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