"Frasi rivolte a plurimi soggetti non identificabili" con "riferimenti a molteplici argomenti". E' per questo che una lettera del boss stragista Giuseppe Graviano inviata ai suoi parenti dal carcere di Perugia - dov'è sepolto al 41 bis - era stata trattenuta e mai consegnata. Una decisione contro la quale il mafioso aveva deciso di presentare ricorso in Cassazione, ritenendo illegittimo il provvedimento disposto del tribunale di Sorveglianza di Spoleto. Ma la Suprema Corte gli ha dato torto perché ha ritenuto "pericolosa per l'ordine e la sicurezza" la "missiva spedita dal condannato ai propri famigliari". Graviano è stato condannato a pagare 3 mila euro di spese processuali.
Non è la prima volta che il boss di Brancaccio incappa in episodi simili: appena a febbraio scorso era successa infatti la stessa cosa e Cassazione aveva anche in quel caso respinto il ricorso del boss, condividendo con il tribunale di Sorveglianza di Perugia che "la missiva conteneva un testo criptico", con "numeri e formule" e quindi "potenzialmente indicativi di significati potenzialmente nascosti".
La lettera al centro dell'ultimo procedimento risale invece a marzo dell'anno scorso ed era stata bloccata dal carcere "in considerazione delle frasi rivolte a plurimi soggetti non identificabili" e perché "infarcita di riferimenti a molteplici argomenti, la gran parte non conferente con il tenore della missiva" e per questo "doveva essere ritenuta pericolosa per l'ordine e la sicurezza". La decisione di evitare che la lettera venisse recapitata è stata ora ritenuta legittima anche dalla Cassazione.
Giuseppe Graviano improvvisamente sceglie il silenzio al processo sulle stragi degli anni '90