"Le posso dire che non c'è mai stata un'occasione in cui qualsiasi situazione mi sia stata portata all'attenzione non abbia avuto il suo corso". Queste le poche parole che Gabriella Straffi, ex direttrice del carcere femminile alla Giudecca, si è sentita di rilasciare sul caso Sissy. Parole che fanno intendere come l'ex superiore della poliziotta morta pochi giorni fa, si senta sicura del suo operato quando si trovava alla guida della casa circondariale femminile veneziana, sebbene non voglia entrare nel merito della questione.
Infatti, la stessa Straffi ha ribadito che preferisce non intervenire in merito alla lettera, datata 30 settembre 2016 e pubblicata ieri dal Gazzettino, in cui Sissy chiede di "parlare al più presto con la signoria vostra" perché "avvicinata da molte detenute che hanno raccontato fatti gravi che riguardano le mie colleghe".
Le uniche considerazioni della Straffi sono di fiducia nelle istituzioni, affidandosi alle indagini in corso: "Credo che la magistratura stia lavorando, preferisco non rilasciare alcuna dichiarazione, mi sembra sia stato detto di tutto e di più senza aspettare che le indagini abbiano fatto il suo corso. Penso che sia molto importante attendere".
In futuro l'ex direttrice non nega di essere disponibile al confronto, ma per il momento preferisce il silenzio, in attesa che le indagini proseguano e pongano la parola fine sulla vicenda. Le ombre che riguardano la morte dell'agente Maria Teresa Trovato Mazza sono tante. L'ultima puntata di Chi l'ha visto ha sollevato dubbi su cosa sia accaduto veramente, sottolineando la presenza di alcuni segni sui polsi di Sissy, come se qualcuno l'avesse forzata a compiere un gesto che forse non avrebbe voluto fare.
Dalle registrazioni delle telecamere, avvenute nell'ospedale Civile di Venezia, non è semplice risalire a quanto accaduto, se non cercare di far luce su quanto possa esser successo poco prima della morte di Sissy. Chi però non ha mai creduto alla storia che l'agente avesse potuto scegliere di farla finita è stato il padre Salvatore, che ha ribadito, al Gazzettino e anche alle Iene, la necessità di fare chiarezza su un fatto che per lui non può essere archiviato come suicidio. E per questo motivo continua a chiedere con forza ulteriori approfondimenti alla vicenda.
Una richiesta che dimostra la tenacia di un uomo che non si piega ad una versione per lui inaccettabile, che riguarda la perizia sul computer dell'agente, oltre che dell'uso del telefonino da parte della figlia. A puntare il dito contro il computer è stato proprio il padre, che si chiede come mai, nonostante fosse lo strumento di lavoro di Sissy, questo si trovasse all'interno del carcere il giorno della tragedia. Ma anche chi l'avesse portato lì e chi l'abbia poi ripulito.
A gestire le indagini sarà direttamente il procuratore capo della Procura veneziana Bruno Cherchi, a cui è stato affidato il compito di far luce sull'intricata vicenda. A lui toccherà chiarire i tanti misteri che con il tempo si stanno sollevando sul caso.
Non ultimo, quello che emerge dalla stessa lettera di Sissy indirizzata all'ex direttrice, in cui dice: "Non so se ho fatto bene, ma ho scritto, per non dimenticare, quanto mi hanno detto le detenute". Resta da capire dove siano finite quelle rivelazioni.
Il Gazzettino