I soldati affiancheranno le guardie di custodia nelle carceri. Il rapporto sarà di uno a dieci, ma per la prima volta i militari di leva entreranno negli istituti di pena. Lo prevede un disegno di legge del ministro della Giustizia, approvato ieri dal Consiglio dei ministri.
Il servizio come agente di custodia avrà la stessa durata del servizio militare (12 mesi, secondo il disegno di legge governativo); e non sarà obbligatorio: saranno i giovani di leva a scegliere; all'amministrazione penitenziaria resterà il giudizio di rimandare al battaglione i soldati non ritenuti idonei a una attività tanto delicata. Ai soldati il ministro ha deciso di ricorrere per due motivi: uno è finanziarlo (i militari di leva costeranno poco o niente all'amministrazione giudiziaria); l'altro deriva dalla ormai cronica assenza di candidati ai concorsi per guardie carcerarie.
Il lavoro è difficile, pesante, pericoloso e mal pagato. Prendere le ferie e i permessi è come vincere un terno. Il ministro Reale ha previsto, nel disegno di legge, aumenti di stipendio, in modo da adeguare la busta paga delle guardie carcerarie a quella degli agenti di P.S. (che peraltro non sono certo soddisfatti). Per allargare la rosa dei candidati a questo ingrato lavoro, il disegno di legge abbassa anche l'altezza minima richiesta per diventare guardie di custodia: basta un metro e 60. E visto che chi è laureato difficilmente segue la carriera direttiva nel corpo delle guardie di custodia, il ministro è disposto ad accontentarsi di chi ha la licenza di scuola media superiore. Insomma: bassi e non laureati, purché si arruolino.
Sulla carta gli agenti di custodia sono ora 15 mila, cioè uno per ogni due detenuti (la “popolazione” media nelle carceri è di 30 mila); ma duemila posti in organico sono scoperti. In quattro anni e con una spesa superiore ai 10 miliardi, Reale conta di riempire i ruoli e di arrivare a oltre 17 mila uomini. Nei giorni “caldi” dell'evasione di Curcio, le proposte del ministro hanno trovato ovviamente sollecita approvazione dal Consiglio dei ministri.
La Stampa 22 febbraio