« Non fate scherzi. Al minimo cenno di qualche imbroglio sapremo come comportarci. Se muoio io, rimangono gli altri, se muore un altro rimaniamo sempre in due ». Questo aveva detto, alle 18,30, Cesare Concu, il capo dei tre detenuti ribelli nel carcere di Alessandria, al Procuratore generale Reviglio Della Veneria, al quale ha consegnato le condizioni, alla presenza di chi scrive e di altri due colleghi chiamati ad essere testimoni, come rappresentanti della stampa, al momento di presentare l'ultimatum.
Cesare Concu e i suoi due complici, Domenico Libona ed Everardo Levrero, hanno mantenuto la promessa. Quando, alle 19,45, le forze dell'ordine, lanciati i candelotti lacrimogeni, hanno tentato l'assalto all'infermeria, in mano ai ribelli, i detenuti non hanno esitato a far fuoco, sia contro gli ostaggi che contro carabinieri e poliziotti. Hanno ucciso uno degli ostaggi, il dott. Roberto Gandolfi, ferito gravemente, con una pallottola al capo, uno degli insegnanti, l'ing. Vincenzo Rossi, che giace ora, morente, al Centro rianimazione; feriti leggermente un ufficiale e due carabinieri, in stato di choc due agenti di custodia tenuti in ostaggio e successivamente rilasciati. Illesi, come ha dichiarato al dott. Parola, sostituto procuratore della Repubblica, l'assistente sociale Graziella Giarda Vassallo, gli altri ostaggi e i detenuti. Il magistrato, dopo la fallita incursione, ha potuto parlare con la donna. « Siamo illesi — ha detto la Giarola —. Illesi pure i detenuti.
Per pietà, accontentateli, non permettete io spargimento di altro sangue ». L'appello dell'assistente sociale è stato sottolineato da una frase minacciosa e molto chiara rivolta allo stesso magistrato dai detenuti: « Ogni colpo di arma da fuoco che sarà esploso all'interno del carcere segnerà la condanna a morte per uno degli ostaggi ». Hanno dimostrato, purtroppo, di essere pronti a farlo.
Il colloquio con il Concu, al quale ho assistito, è stato molto drammatico. « Sono sempre stato trattato come una bestia — aveva detto Concu —, non azzardatevi a fare scherzi». Mentre avveniva l'incontro, dall'interno della infermeria era giunta, chiara ed inequivocabile, la detonazione di un colpo d'arma da fuoco. Evidentemente i detenuti avevano in questo modo voluto far capire quali erano le loro intenzioni.
All'incontro con il procuratore generale Della Veneria — accompagnato dall'avvocato generale Prosio, dal procuratore Buzio e dal sostituto Parola, dal dott. Montesano, dal capo della Mobile, Feola — si era giunti dopo una attesa snervante, di ore. Il primo contatto « ufficiale » c'era stato alle 15. Concu aveva parlato con il dott. Parola ed aveva posto la condizione per presentare le richieste: la presenza del procuratore generale e di « giornalisti conosciuti ». Ero nella rosa dei prescelti, assieme ai colleghi Giuseppe Zerbino ed Emma Camagna. Con i magistrati ed i funzionari ho raggiunto l'ingresso dell'infermeria. Concu ha risposto con un certo ritardo all'invito ad uscire. Si è presentato armato. « Voglio vedere i documenti del procuratore generale », ha dichiarato con tono secco, visibilmente eccitato. E' stato accontentato. Il dott. Della Venaria ha passato il suo tesserino. Il detenuto si è ritirato.
Abbiamo dovuto attendere un quarto d'ora la sua ricomparsa: un modo chiaro per far intendere il suo disprezza per i magistrati. Finalmente, Concu è riapparso all'ingresso dell'infermeria, e ha presentato le richieste. « Garibaldi, a Calatafimi, disse: "Qui si fa l'Italia o si muore" — è la premessa all'ultimatum. — Noi oggi diciamo: "O di qui si esce vivi o si muore tutti ». « Ci consideriamo fin dall'inizio dell'azione votati al suicidio — aggiungeva, — quindi pronti a tutto ».
Poi, le richieste vere e proprie. « Vogliamo un pulmino, con cui intendiamo lasciare il carcere assieme agli ostaggi — dice Concu —. Dev'essere portato all'interno del carcere, nell'area della lavanderia, da cui vogliamo partire. Le portiere dovranno essere spalancate, i finestrini coperti da tendine oscurate. Dovrà essere scortato da motociclisti della polizia, scorta che naturalmente rimarrà a nostra disposizione fino a quando lo desidereremo ».
Poi, la minaccia: « Se quanto richiesto non ci sarà concesso entro quattro ore, allo scadere dell'ora prefissata verrà ucciso un ostaggio sorteggiato dal gruppo. Ciò si ripeterà ogni trenta minuti ». Mentre, nel silenzio più assoluto, prendevamo nota delle richieste il Concu ha ancora aggiunto: «L'ultimatum s'inizierà dalle cinque di domani mattina. La scadenza è fissata per le nove. Alle 9,30, se non sarà stato accolto, uccideremo il primo ostaggio». La minaccia è stata mantenuta, con molte ore di anticipo, dopo il tentativo di forza della polizia. Il tentativo è fallito. L'ultimatum resta però valido.
La Stampa 10 maggio 1974