Si può allungare il bando di un concorso se i candidati non sono graditi? Al ministero della Giustizia la pensano così. In bocca al lupo.
Perché è chiaro anche ai bambini di quinta elementare tornati tra i banchi ieri che non si può fare, a meno di non rischiare una sequela di ricorsi.
È quello che probabilmente succederà al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, finito nella bufera questa estate dopo le parole del pm antimafia Antonino Di Matteo, quando rivelò pressioni affinché il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (nel tondo) non lo nominasse al vertice del Dap, nonostante lo stesso Guardasigilli grillino gliel'avesse promesso qualche giorno prima.
Complice il Covid e qualche imprudente decisione dei tribunali di Sorveglianza, il Dap è finito nel mirino anche per le scarcerazioni di pericolosi boss di mafia, camorra e 'ndrangheta, di cui l'amministrazione penitenziaria sarebbe stata impotente spettatrice sebbene in realtà l'uscita di cella dei mafiosi sarebbe stata una diretta conseguenza della circolare Dap del 21 marzo nata per scongiurare possibili contagi tra i detenuti e poi frettolosamente ritirata. I vertici del Dap sono stati decapitati, il nuovo capo Bernardo Petralia e il vice, Roberto Tartaglia, sono stati nominati dallo stesso Guardasigilli i primi di maggio. Ma nel Dap adesso serve anche un nuovo direttore generale. Lo scorso luglio il ministero aveva pubblicato un bando al quale, secondo quanto risulta al Giornale, avrebbero partecipato poco più di una mezza dozzina di candidati. Un numero importante, visto anche che la poltrona richiedeva curricula, titoli ed esperienze di tutto rispetto. E invece proprio ieri, a sorpresa, i termini del bando sono stati riaperti per due settimane, fino al 28 settembre. Il motivo fa un po' sorridere: «Tenuto conto che il precedente interpello è stato pubblicato a ridosso del periodo feriale e tale situazione, unitamente allo stato emergenziale determinato dalla pandemia, può aver verosimilmente contribuito alla presenza di un numero ridotto di candidati, si ritiene necessario riaprire i termini per la presentazione (...) in modo da consentire una scelta più oculata» eccetera.
Al ministero della Giustizia non lo ammettono, ma è evidente che nessuno dei candidati che aveva presentato domanda era «gradito» a Bonafede, visto anche il carattere fiduciario dell'incarico. Da qui la necessità di riaprire il bando, nella speranza che si presenti qualche candidato «amico».
Ovviamente, il rischio che il concorso venga impugnato è altissimo, praticamente certo. «Se dovesse vincere qualcuno che ha fatto domanda dopo la riapertura del bando», spiega una fonte, l'intero concorso «potrebbe essere a rischio perché in ogni caso la procedura è irrimediabilmente viziata, e un giudice amministrativo, se adito, non potrà non rilevarlo». «Questo rischio esiste in astratto per tutti i bandi - osservano fonti del ministero - nel caso di specie, la riapertura dei termini è volta ad avere a disposizione una platea più ampia di candidature, considerata la particolare complessità e delicatezza dell'incarico e dal momento che l'interpello era stato pubblicato a luglio». Ma tant'è.
Non è la prima volta che in via Arenula Bonafede e il suo staff incorrono in scivoloni giuridici, dalla sparata a Porta a Porta del ministro («Quando per il reato non si riesce a dimostrare il dolo e quindi diventa un reato colposo») alla Spazzacorrotti dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta e «scritta così male che rischia di alimentare la corruzione» (copyright Raffaele Cantone), dal pasticcio sulla riforma della prescrizione definita «uno strabismo legislativo» da Gherardo Colombo allo scontro con i legali del procuratore calabrese Eugenio Facciolla su cui decideranno le sezioni unite della Cassazione tra qualche giorno.
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