Caccia al commando delle "Brigate rosse"
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STORIA Caccia al commando delle "Brigate rosse" 19/02/1975 

Per tutta la notte il carcere di Casale è rimasto illuminato: magistrati, polizia, carabinieri e guardie carcerarle hanno cercato di mettere insieme i tasselli del piano di “liberazione” di Renato Curdo, capo militare delle “Brigate rosse”. L'incertezza dei testimoni, la mancanza d'indizi ha reso difficile il compito degli investigatori. Il procuratore generale Reviglio della Venerìa è giunto stamane a Casale accompagnato dal consigliere dott. Caccia. Con gli ufficiali dei carabinieri e funzionari di polizia, ha compiuto subito un sopralluogo nell'interno del carcere.

Ci sono parecchie contraddizioni nella ricostruzione della fuga. Intanto, quanti erano i componenti del “commando”? Dubbi ci sono anche sulla donna del gruppo (forse la moglie di Curdo, Margherita Cagol, 31 anni). I testi sono d'accordo soltanto sul colore dei suoi capelli: biondi Però poteva avere una parrucca. Confusione completa a proposito delle armi. Qualcuno dice che erano armati fino ai denti: altri affermano di avere visto un mitra, imbracciato dalla donna, e una pistola nelle mani di un altro brigatista che, forse molto giovane, appariva nervoso. Praticamente il “commando” non ha lasciato tracce, l'operazione è risultata semplice.

Il carcere di Casale sorge nel centro della città. E' un edificio a due piani. L'ingresso dà sulla via Leardi. Quarantacinque i detenuti, 17 gli agenti di custodia, compreso il comandante, mar. Barbato. Si alternano nei servizi; in genere sorvegliano i detenuti in non più di 34 per volta. “Poco dopo le sedici - ha dichiarato l'agente che era di guardia alla porta di ingresso - una donna ha suonato il campanello. Ieri era il giorno in cui si possono consegnare i pacchi: la donna infatti aveva un pacco di vestiario da dare ad un carcerato. Aperta la porta, la donna ha depositato sul tavolo il pacco. Ad un tratto ha estratto da sotto il soprabito chiaro un mitra e me lo ha puntato. In quel momento con me c'era un detenuto, Carlo Camaroli. Subito dopo sono entrati quattro o cinque uomini. Non erano mascherati e vestivano con abiti normali”. Dunque, il gruppo fa irruzione nel piccolo ingresso. Il Camaroli, colto da malore, cade a terra svenuto. “Per raggiungere le celle - continua la guardia - bisogna superare un'altra porta di ferro. Mi hanno preso le chiavi, hanno aperto l'ultimo cancello. Sotto la minaccia delle armi, hanno immobilizzato le altre tre guardie. A questo punto la donna ha percorso da sola un corridoio e, sempre con il mitra puntato, ha raggiunto il ballatoio. I detenuti erano al primo piano, fra loro c'era Renato Curcio”. A questo punto, la bionda ha gridato: “Renato, andiamo”. Curcio scende di corsa le scale. Probabilmente era li che aspettava. La raggiunge. Poi i due con i compagni, fuggono. Prima però chiudono a chiave tutti i cancelli. Le chiavi vengono buttale sul marciapiede, davanti al carcere. Gli agenti danno l'allarme, cercano di mettersi in contatto per telefono con l'esterno. I fili però sono tagliati.

E' probabile che il “commando” sia fuggito su due macchine: una e certamente di loro proprietà; l'altra, una “125”, viene trovata alla periferia di Casale. Era stata rubata ad Alessandria. Dalle finestre le guardie chiedono aiuto. Un passante si ferma, raccoglie le chiavi, le butta agli agenti. Sono trascorsi venti minuti. Intervengono le gazzelle dei carabinieri, la polizia. Da Torino giunge il dott. Criscuolo del nucleo antiterrorismo, con il maresciallo Berardi. Il procuratore dott. Poggi raggiunge il carcere. Decollano gli elicotteri; vengono istituiti numerosi posti di blocco. Dei fuggiaschi, nessuna traccia. Trovarli è un'impresa difficile.

L'evasione del Curcio desta parecchie preoccupazioni tra gli inquirenti che ritengono Curcio il capo e la mente dell'organizzazione. Dopo il sopralluogo, Reviglio della Venerìa è stato avvicinato dai giornalisti: “E' la prima volta - ha detto - che un carcere viene assaltato dall'esterno. E' stata una "bella azione" e purtroppo riuscita. L'episodio del Curcio ci ha preso letteralmente alla sprovvista”. Alla domanda chi avesse disposto l'invio del pericoloso personaggio in questa prigione che, essendo carcere mandamentale, è diretta con minor severità di altre, il magistrato ha risposto che si è trattato di una decisione presa dal ministero di Grazia e Giustizia. E' questo che decide lo spostamento dei reclusi. La dichiarazione del magistrato è in aperta polemica con una precisazione diramata ieri dal ministero in cui si dice: “In relazione alla fuga di Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato, il ministero di Grazia e Giustizia fa sapere che il Curcio trovavasi in quel reclusorio per disposizione delle autorità giudiziarie di Torino”. Il dott. Caccia, con una putita di ironia, ha detto che nel corso della perquisizione nella cella del Curcio, tra i libri di storia è stato rinvenuto un manuale per la fabbricazione di esplosivi che era in dotazione alla biblioteca del carcere.

La Stampa 19 febbraio 1975


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