Bisogna far lavorare i detenuti e trattarli ancora come cittadini
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STORIA Bisogna far lavorare i detenuti e trattarli ancora come cittadini 07/07/1971 

Lunedi mattina, « Siamo sempre su una polveriera », continuano a dire i direttori delle carceri italiane, e non fanno nulla per nascondere le loro preoccupazioni e il loro pessimismo. Dopo i clamorosi incidenti avvenuti a Torino, la situazione nel settore penitenziario sembra essere abbastanza calma, ma secondo i tecnici la tempesta è sempre nell'aria. « Non bisogna farsi illusioni, — avvertono — i problemi sono molti e non basta certo migliorare il vitto per risolverli ». Non è dunque sufficiente l'approvazione della riforma penitenziaria che, superato l'esame del Senato, sta per affrontare il vaglio della Camera? « Non è sufficiente — commentano i penitenziaristi — sia perche entrerà in vigore soltanto fra sei mesi sia perché non risponde alle esigenze più attuali e più pressanti ».

E' per questo che i comitati di azione per la giustizia hanno deciso di invitare magistrati, avvocati, professori universitari, psichiatri, psicologi ed esperti di problemi cercerari a discutere l'argomento in un convegno destinato a prolungarsi per tre giorni, da mercoledì a venerdì prossimo. « La riforma proposta dal governo, — ha spiegato ieri mattina ai giornalisti il segretario generale dei comitati di azione per la giustizia, giudice Ruggiero Firrao, illustrando i temi del convegno che ha per titolo "L'uomo e il carcere" — non sembra realizzare uno strumento armonico, perché alla sua base vi e sempre una impostazione paternalistica dei rapporti fra Stato e cittadino, ed in specie fra la società le cui regole sono state infrante e il soggetto che di tali infrazioni si è reso responsabile » Il proposito degli organizzatori del convegno è di suggerire ai deputati quelle innovazioni che potrebbero migliorare la riforma penitenziaria. Perché, secondo i tecnici, nei limiti in cui essa è stata approvata dal Senato, è inutile se non addirittura dannosa.

Qual è il maggiore rimprovero che la maggioranza dei penitenziaristi muovono al progetto di riforma? « Il sistema autoritario vigente — sostiene il dott. Vincenzo Marolda, ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria, anche a nome dei colleghi — impedisce ogni progresso nelle istituzioni carcerarle e deve essere sostituito con concetti di democratizzazione ». Quali? « Ai detenuti devono essere riconosciuti i diritti soggettivi propri del cittadino, con le sole limitazioni imposte dalla situazione contingente ».

I criminali e i delinquenti in genere — è questo in fondo il tema sul quale discuterà il convegno — una volta allontanati dalla società debbono essere assistiti (e perciò studiati) allo scopo di migliorare la loro personalità e di recuperarli. E' soltanto in questo modo — sostiene il dott. Marolda — che potranno essere evitati gli incidenti avvenuti ultimamente nelle carceri italiane, soprattutto a Torino.

Ma le critiche al sistema penitenziario che saranno mosse nel corso di questo convegno saranno anche più severe. « Noi — dicono i direttori delle carceri italiane — abbiamo da tempo ricordalo a tutti che una notevole percentuale di detenuti vive ancora nell'ozio più assoluto perché quelli che lavorano sono adibiti a servizi interni del carcere. Non è un paradosso affermare che le condizioni organizzative e funzionali degli stabilimenti penitenziari non sono oggi sostanzialmente diverse da quelle che erano nel 1923. Soltanto in alcuni istituti sono in atto esperimenti di trattamento rieducativo: ma procedono con difficoltà, soprattutto perchè mancano le direttive centrali ».

Durante il convegno, infine, verrà affrontato anche un altro aspetto del problema: I quello degli agenti di custodia. Per una popolazione carceraria di 30 mila persone circa vengono utilizzati soltanto otto mila agenti di custodia che debbono essere presenti ventiquattro ore su ventiquattro. E' per questo che i detenuti rimangono chiusi 22 ore al giorno in cella: altrimenti non potrebbero essere sorvegliati.

La Stampa 7 giugno 1971
 


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