Nessun favore ai detenuti. Sono state scagionate in appello le sei guardie penitenziarie accusate di aver consentito ad alcuni detenuti del carcere di Gazzi, in particolare a nomi “pesanti” della mala locale, di comunicare con l’esterno attraverso pizzini o godere di altri vantaggi, dalla possibilità di reperire droga anche in cella o quella di potersi muovere più o meno liberamente all’interno delle mura circondariali.
Nella tarda serata di ieri la Corte d’Appello di Messina, ribaltando il verdetto emesso in primo grado nel maggio 2017, ha assolto con formula piena (perché il fatto non sussiste) Carmelo Scilipoti, Salvatore Strazzeri, Francesco Giunta, Carmelo Cutropia e Domenico Pantò.
Gli agenti penitenziari erano difesi dagli avvocati Salvatore Silvestro e Tommaso Calderone. Per loro si chiude con un verdetto che li dichiara estranei ai fatti una complessa vicenda giudiziaria che li ha visti accusati di aver agevolato i boss carcerati, cominciata nel dicembre 2014 con la denuncia di sei agenti della Polizia Penitenziaria.
L'INCHIESTA
L’indagine invece era partita anni prima, quando vennero arrestati i vertici dei clan della zona sud cittadina, allora impegnati in una nascente “faida” che nel giro di pochi mesi aveva già fatto parecchi morti e minacciava di allargarsi, se non fossero intervenute le retate delle forze dell’Ordine. Intercettati in carcere, le conversazioni tra loro avevano dato adito ai sospetti sulle guardie in servizio nella casa circondariale cittadina (LEGGI QUI).
Nel 2006 scattarono gli arresti e l’operazione venne battezzata Ricarica proprio per la scoperta di un cellulare in uso ai detenuti. Agli atti dell’inchiesta, anche il progetto di uccidere un altro boss a piede libero, ordito dai malavitosi rinchiusi in cella.
IL VERDETTO INTEGRALE
I giudici d’appello hanno ritoccato il verdetto di primo grado anche in altri punti, abbassando le pene per altri imputati: 12 anni per Maurizio Lucà, 6 anni e mezzo per Stefano Celona, 3 anni e mezzo per Leonardo Parisi, 2 anni e mezzo per Gaetano Li Mura e Giuseppe Stancampiano Pizzo, 7 anni per Vittorio Carnazza e Orazio Famulari, 4 anni per Nunzio Lascari e Antonino Bonanno. Prescrizione dell’accusa per Stefano Murgo, dopo l’esclusione dell’aggravante contestata, e per Letterio Morgana.
Assoluzioni anche per alcuni carcerati, per non aver commesso il fatto: Antonino Spartà, Enzo Maria Pizzino, Giovanni Bontempo, Egidio Comodo e Salvatore Musumeci.
In sostanza la Corte d’Appello ha rivisto l’intero impianto accusatorio, cassando i reati così come qualificati e riqualificandoli in accuse meno gravi. Gli imputati comunque condannati hanno così beneficiato delle attenuanti e delle prescrizioni. Per altri, invece, come gli agenti penitenziari appunto, è caduta del tutto l’accusa formulata nei loro confronti, ritenuta non fondata.
LA SENTENZA DEL 2017
In primo grado la sentenza del Tribunale (presidente Grasso) era stata molto più severa: 16 anni e mezzo Maurizio Lucà, 13 anni e 4 mesi Orazio Famulari; 12 anni per Vittorio Carnazza (assolto da un'accusa); 8 anni per Stefano Celona; 6 anni per Letterio Morgana; 2 anni per Stefano Murgo (pena sospesa); 6 anni e 8 mesi per Leonardo Parisi; 6 anni e mezzo per Antonino Bonanno; 6 anni per Antonino Spartà, Carmelo Barrese e Nunzio Lascari - quest'ultimo ha incassato un'assoluzione parziale; 4 anni a Gaetano Li Mura; Giuseppe Stancampiano Pizzo, Roberto Enzo Maria Pizzino, Giovanni Bontempo, Egidio Comodo e Savatore Musumeci;
Condannati a 3 anni e 2 mesi gli agenti penitenziari Salvatore Strazzeri, Domenico Pantò e Carmelo Cutropia; 3 anni e 4 mesi per i colleghi Carmelo Scilipoti dell’Arma e Francesco Giunta, assolto da una accusa; Tre persone erano state assolte.
Per Maurizio Lucà resta l’obbligo di risarcire la parte civile - l'esponente dell'antiracket Mariano Nicotra – mentre la provvisionale che dovrà liquidare scende da 30 mila a 900 euro.
Impegnat nelle difese anche gli avvocati Marcianò, Mento e Antonello Scordo, mentre l'imprenditore Nicotra, che ha denunciato il pizzo, poi diventato presidente dell'Asam, è assistito dall'avvocato Danilo Santoro.
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