Mare forza quattro, a raffiche: il peschereccio “Santa Anna” incrocia al largo di Stintino e si dirige verso l'isola dell'Asinara, carcere giudiziario, colonia penale per ergastolani, confino per “presunti” mafiosi. Appare come un bastione imprendibile: ventidue chilometri di rocce frastagliate, insenature, spiagge. Cala Reale era l'attracco dei principi di Piemonte nelle gite di caccia. Da Punta della Scomunica (400 metri d'altezza) si gode - dice chi c'è stato - un panorama stupendo.
Il “Santa Anna” riduce i motori. “Meglio tenersi a sei-settecento metri dalla costa - dice il capitano - per evitare incidenti”. Le guardie dall'isola aprono il fuoco contro le imbarcazioni che superano la barriera dei cinquecento metri. E' un'ordinanza della capitaneria di porto a proibire l'avvicinamento. Ma è iniziativa del direttore dell’Asinara quella di sparare a mitraglia. Da un anno, il dottor Luigi Cardullo siciliano, direttore del carcere di Alghero, è “in missione” all'Asinara. Ci passa quattro giorni a settimana. Nessuno può avere più permessi per sbarcare, come una volta, per pescare o cacciare. E le guardie, invisibili da mare, obbediscono agli ordini.
Lunedì 8 settembre Erhard Grader, 34 anni, svizzero, veleggiava a bordo del “Blacky”, noleggiato da due giorni. Era a ridosso dell'isola, sfruttando i venti e godendosi il mare. Ma aveva superato il muro invisibile dell'ordinanza. Una raffica di mitra è sibilata attorno allo scafo. Grader, credendo in un assalto, ha risposto al fuoco con una carabina 22, in dotazione dell'imbarcazione, regolarmente denunciata. Risultato dell'incredibile caso: arresto del turista. Tre giorni di carcere a Sassari e processo per direttissima: assoluzione. Il caso Grader apre una polemica. Mercoledì 10 settembre il quotidiano di Sassari La nuova Sardegna pubblica in seconda pagina una vignetta con didascalia. Dice il capitano di una nave: “Quando passeremo davanti all'Asinara dite le vostre preghiere e caricate i fucili”. Si viene a sapere che le mitragliate delle guardie sono all'ordine del giorno; che l'ordinanza della capitaneria non è nota, soprattutto ai turisti; che ci sono quelli, raccomandati, che hanno il permesso di fare il bagno nel paradiso inferno dell'isola “di Ercole” (come la chiamavano gli antichi).
Parliamo quindi dei “misteri” dell'Asinara, così come filtrano attraverso le voci di guardie, ex detenuti, civili che in un modo o nell'altro hanno avuto contatti con l'isola. Ne parliamo soprattutto alla luce della nuova riforma carceraria, divenuta legge dello Stato da poche settimane. Il primo episodio che ci viene raccontato e confermato da più parti è emblematico. Luglio '75: dopo trentasei ore di ricerca, il detenuto austriaco Shober viene ritrovato in una capanna in località Campo Perdu. Tentata evasione? Per il direttore e le guardie non ci sono dubbi. Shober viene picchiato - è lui a farlo sapere in un colloquio con l'assistente sociale - ma il fatto grave è che gli viene riservato un trattamento speciale. Legato “come Cristo in croce” è issato su un'auto che percorre in lungo e in largo tutta l'isola. E' un avvertimento per chi ha idea di evadere. La difesa di Shober è questa: aveva bevuto; si era addormentato e aveva paura perché, pur potendosi muovere liberamente nell'isola non era rientrato per l'appello.
Che cos'è l'Asinara? Quasi cinquecento detenuti tra cui persone in attesa di giudizio, giovani condannati a pene di pochi anni, ergastolani, “presunti mafiosi” al confino. “C'è di tutto - dice la signora Maria Sforza Torri - quello che manca è una scuola che funzioni”. L'assistente sociale non è in grado di sapere quanti siano effettivamente i detenuti; non ha possibilità di vedere le schede di ognuno di loro; non può parlare con nessuno: devono essere loro a chiedere un “permessino” per il colloquio.
Un clima difficile. C'è stato il caso di parenti di detenuti arrivati da lontano con l'autorizzazione per la visita, e che sono dovuti tornare a casa perché quel giorno il battello non partiva o non era il giorno fissato per le visite. C'è restrizione per tutto: nell'isola funziona un solo bar, detto “degli agenti”. Le persone che sbarcano (e che possono restare solo poche ore) non possono entrare nel locale per bere un caffè o una bibita. L'assistente sociale deve dormire nella “foresteria vecchia” perché in quella “nuova” le stanze sono riservate al direttore, ai familiari del direttore, all'ispettore e ai familiari dell'ispettore eccetera. Il maestro di scuola (che insegna solo ai figli delle guardie) ha ottenuto solamente il permesso di poter comprare il pane allo spaccio del paese. Tutto il resto se lo deve portare da fuori. Questa la vita, più o meno, dei civili. Non c'è lo psichiatra, né lo psicologo. Il direttore, praticamente da solo, ha creato un “centro di osservazione” che gestisce personalmente. Si pratica l'isolamento. Si ha notizia di numerosi casi di detenuti picchiati: è il “fuoco di Sant'Antonio”, in gergo carcerario.
L'Asinara è divisa in diramazioni: a Fornelli c'è il giudiziario con circa 100 detenuti; a Santa Maria c'è la “casa di lavoro all'aperto”; poi Tumbarino, Campo Perdu, Cala d'Oliva, Case Bianche. A Cala Reale vive una dozzina di presunti mafiosi. Sull'Asinara, a Porto Torres, si raccontano storie tra fantasia e leggenda: persone sparite per sempre. Cosa ci sia di vero in tutto ciò è difficile da accertare. L'Asinara non è certo un esempio unico. La chiamano la “Caienna” italiana: i detenuti fanno di tutto pur di non restarci, ingoiando cucchiai, procurandosi ferite. “Quante volte ho sentito dire da carcerati - dice un'assistente sociale - che preferivano farsi ricoverare ai manicomi giudiziari”.
E' la realtà delle carceri della Sardegna occidentale. La legge non fa differenza, ma sta di fatto che sono senz'altro “punitive” rispetto ad altre. Perché mandare all'Asinara detenuti in attesa di giudizio? Ecco due casi recenti: primo: un imputato arriva all'isola dal “continente”, anche se dopo due giorni deve presentarsi al tribunale di Genova. Secondo caso: un detenuto, che ha avuto come assegnazione ultima l'Asinara, viene trasferito per malattia in Piemonte (è piemontese). Quando è guarito, anche se deve scontare pochi mesi prima di essere libero, torna alla sua sede ufficiale in Sardegna. “Trasferimenti, isolamento, restrizioni fanno dei detenuti - dice l'assistente sociale dell'Asinara - persone distrutte nella personalità e nel carattere; uomini completamente schiavizzati.
Se la riforma carceraria ha in teoria dei pregi, in pratica non serve a nulla. E' un problema di sensibilità e di umanità accanto a quelli di indubbia responsabilità. Serve a qualcosa cambiare il nome delle celle di contenzione in celle di "riflessione" se la struttura igienica, sanitaria, edilizia è identica?”.
La Stampa 16 settembre 1975