Domenico Paviglianiti, cinquantottenne, uno dei capi storici della 'ndrangheta reggina, uscito dal carcere di Novara lunedì per un guazzabuglio giudiziario, è stato ripreso ieri dai carabinieri con un intervento svolto in collaborazione con la polizia. La libertà del boss è quindi durata meno di 48 ore. "Vi state sbagliando - ha detto ai militari quando se li è trovati di fronte - perché io per i giudici sono un uomo libero: ci sono calcoli precisi che mi danno ragione". Il 'boss dei boss', come lo chiamavano le cronache degli anni Ottanta e Novanta, era così sicuro di se che non si era ancora mosso dalla città piemontese, dove aveva trovato dimora in un bed & breakfast. Ma questa volta, a quanto pare, non ci sono stati errori.
Fino a lunedì scorso Paviglianiti era un ergastolano. Poi un giudice di Bologna, accogliendo uno dei ricorsi che gli avvocati difensori non hanno smesso di inoltrare fin dal 2015, lo ha trasformato in un condannato a trent'anni. E per il boss si sono spalancate le porte del carcere, visto che era detenuto dal 1996 e che tra sconti, cumuli e precedenti periodi di reclusione, aveva già praticamente scontato la pena per intero.
Per ricucire la vicenda bisogna tornare al 1999, quando Paviglianiti - all'epoca considerato uno dei pezzi da novanta dei clan che da Reggio Calabria avevano esteso loro tentacoli in Lombardia e nel Nord-Ovest - era stato estradato dalla Spagna (dove era stato catturato tre anni prima) all'Italia. Le autorità iberiche aveva dato il via libera a condizione che
l'uomo, una volta trasferito in un penitenziario italiano, non fosse sottoposto a una "carcerazione a vita", visto che all'epoca l'ordinamento spagnolo non prevedeva l'ergastolo. Roma dovette fornire una serie di garanzie. Ancora nel 2006, durante uno strascico legale, il Ministero della Giustizia assicurò alla Corte nazionale di Madrid che in Italia "ergastolo" non significa "cella fino alla morte", perché esistono permessi premio, diritto al lavoro esterno, liberazione condizionale. Ma nel 2017, per dirimere un ricorso presentato a Torino, la Cassazione sollevò dei dubbi: era probabile che gli italiani non avessero detto tutto ai madrileni. Per esempio, forse non avevano parlato del cosiddetto "ergastolo ostativo", vale a dire la negazione dei benefici a chi è in regime di 41 bis.
Dopo la decisione del giudice di Bologna sono stati fatti nuovi calcoli: una delle condanne si riferisce a fatti avvenuti dopo l'estradizione. Si è così stabilito che ci sono ancora degli anni da scontare, e che il fine pena è fissato per il 2027. Così è scattato un nuovo procedimento di carcerazione.