Alla base della cosiddetta riforma penitenziaria portata avanti dal Governo Gentiloni e promossa da suo ministro della giustizia Andrea Orlando, c'è uno studio del Dipartimento dell'amminisrtazione penitenziaria (DAP) datato ed incompleto.
A sostenerlo è un approfondimento del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE) in cui sono elencati tutti i punti deboli della teoria di chi dichiara un tasso minore di recidiva tra quei detenuti che usufruiscono delle misure alternative al carcere rispetto a chi sconta la propria pena negli istituti penitenziari.
"Le parole d’ordine “misure alternative” (alternative al carcere) ed esecuzione penale esterna” stanno condizionando le menti e le dichiarazioni della stragrande maggioranza delle persone che negli ultimi anni si stanno occupando di sistema penale.
Sono scesi in campo giuristi, politici, giornalisti, associazioni, filosofi, professori universitari, semplici passanti. Tutti d’accordo su un fatto: la percentuale di recidiva delle persone detenute che scontano parte della propria pena all’esterno delle mura penitenziarie “è molto minore” rispetto a quella di chi la sconta per intero nel carcere.
Cifre ufficiali ed esatte non ce ne sono. Per ora basti sapere che quasi tutti convengono sulla versione che la recidiva per chi rimane in carcere è del 68,45% e per gli altri che usufruiscono di un’esecuzione penale esterna è del 19%.
Ma i dati sono falsi!"