Anche il bandito Cavallero tra i capi della rivolta nel carcere di San Vittore
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STORIA Anche il bandito Cavallero tra i capi della rivolta nel carcere di San Vittore 08/07/1968 

All'arrivo delle forze dell'ordine non ha tuttavia ingaggiato battaglia: si è lasciato riaccompagnare in cella - Trasferiti in altre carceri quindici «boss» della malavita ritenuti i fomentatori dei disordini.

Milano, lunedi mattina. La calma è tornata nel carcere di San Vittore dopo la tumultuosa manifestazione di sabato, durante la quale settecento detenuti si sono rifiutati di tornare in cella dopo l'ora di « aria ».

Ieri « l'ora d'aria » è stata regolarmente concessa dalle 14 alle 15: i detenuti sono usciti dalle celle, hanno passeggiato tranquillamente, hanno formato qualche capannello che, comunque, hanno subito sciolto all'ordine delle guardie: non si è avuto il minimo incidente.

Il direttore del carcere, dott. Alfonso Corbo, ha ripreso il completo controllo della situazione. Al ritorno della normalità ha concorso l'allontanamento — avvenuto durante la notte fra sabato e domenica — di quindici detenuti ritenuti pericolosi: con ogni probabilità, sono stati costoro i fomentatori della rivolta. Sono quasi tutti « personaggi » famosi, veri boss della malavita.

Su tre furgoni, scortati da quattro pattuglie di carabinieri, essi sono stati trasferiti in altre prigioni: a Porto Azzurro, a Volterra e a S. Gimignano. Si è appreso che fra i « maggiorenti » trasferiti non c'è Pietro Cavallero. Sembra che il bandito, pur facendo parte dei detenuti che si erano rifiutati di ritornare nelle loro celle, non abbia opposto resistenza quando sono arrivati rinforzi dall'esterno per riportare l'ordine. Le cause che hanno acceso la protesta — trasformatasi poi in una vera rivolta — sono ormai note.

I detenuti chiedevano la riforma del codice di procedura penale, soprattutto di quella sua parte che riguarda la prima fase delle indagini giudiziarie. E' previsto che queste saranno svolte, in futuro, con l'assistenza dell'avvocato difensore. Lo ha deciso anche una recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha definito illegittima l'inchiesta giudiziaria quando l'imputato non sia assistito da un legale.

Gli incidenti avevano avuto inizio sabato alle 15, quando, dopo l'ora dedicata alla passeggiata, soltanto cinquecento dei milleduecento ospiti di San Vittore, erano rientrati nelle loro celle. Gli altri, rimasti all'aperto, inalberavano cartelli e chiedevano di conferire con il procuratore generale e col procuratore capo della Repubblica. Si sono avuti subito colloqui fra il direttore del carcere e i detenuti, senza tuttavia alcun risultato. Era intervenuto anche l'avvocato generale, il dott. Antonio Pontarelli, ma neanche i suoi inviti alla calma erano serviti a risolvere la drammatica situazione.

Si giunse così alla rivolta delle ore 20: il direttore del carcere, dopo aver fatto intervenire la forza pubblica, ha lanciato un ultimatum: trecento detenuti lo hanno accolto, ritirandosi nelle celle; gli altri quattrocento hanno dimostrato chiaramente di voler resistere ad oltranza.

Alle 20,40 sono entrati in azione i 250 carabinieri e poliziotti e le 250 guardie di custodia del carcere. Come prevede il regolamento, i militi dell'Arma e gli agenti di P.S. sono intervenuti senza armi.

Lo scontro è stato violentissimo. I detenuti si sono lanciati contro le forze dell'ordine e, per qualche minuto, si è temuto che queste potessero avere la peggio: poi, agenti e carabinieri sono riusciti a dividere i detenuti in piccoli gruppi e a ricondurli nelle loro celle.

Nella « battaglia » 18 carabinieri, 4 agenti di P.S. e 32 agenti di custodia sono rimasti contusi.

Il più grave è il carabiniere Luciano Pinelli, che è stato ricoverato all'ospedale Policlinico per sospetta commozione viscerale. Nella giornata di ieri le sue condizioni sono migliorate.

La Stampa, 8 luglio 1968

Clamorosa protesta di detenuti a San Vittore: 30 contusi e feriti


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