La tragedia d'Alessandria forse poteva essere evitata. Da dieci giorni a Roma si sapeva che in quel carcere un gruppo di detenuti stava preparando una sommossa. Si sa anche che esiste un piano di rivolta generale nei penitenziari più importanti che dovrebbe essere attuato in concomitanza del referendum (o domenica o più probabilmente tra lunedì e martedì) perché in quei giorni le forze dell'ordine sono occupate per assicurare una calma consultazione sul divorzio.
Il ministero dell'Interno aveva avvertito il ministero di Grazia e Giustizia indicando, per il carcere di Alessandria, anche i nomi del presunti organizzatori. Il ministro di Grazia e Giustizia avvertì a sua volta l'ispettore generale degli istituti di pena. I nomi di Cesare Concu, Everardo Levrero e Domenico Di Bona erano tra i primi, e ben sottolineati, nell'elenco di coloro che si suggeriva di trasferire. Ma sorse un problema che è sembrato insolubile nel breve spazio di tempo richiesto: dove mandarli se dovunque i tre detenuti, giudicati pericolosi e decisi, avrebbero trovato un ambiente adatto per assumere iniziative violente? E' facile ora dire che se fossero stati trasferiti almeno sarebbe stato possibile scoprire che essi erano armati. Il programma di trasferimento fu rinviato di qualche giorno. Appare tuttavia incomprensibile che non siano state prese le più elementari precauzioni come quella di controllare i detenuti più pericolosi.
La situazione carceraria viene ritenuta gravissima negli ambienti del ministero della Giustizia e, adesso, tenuta sotto controllo. Esiste questo piano eversivo di carattere generale: si intuisce chi possono essere gli ispiratori e si sa che l'avvio della sommossa dovrebbe scoppiare contemporaneamente a Milano, Roma, Napoli, Palermo. La scorsa settimana, il ministero della Giustizia con un fonogramma informò tutti gli ispettori generali preposti al controllo regionale degli istituti di pena che « qualcosa » poteva avvenire nelle carceri e suggerì di stroncare sul nascere qualsiasi eventuale manifestazione. II risolvere il problema dei fermenti fra i detenuti con un semplice trasferimento non è stato mai preso in grande considerazione dai penitenziaristi: lo ritengono inutile. Infatti, la situazione è uguale dovunque. Non ritengono migliore neanche l'altra soluzione: quella di trasferire i detenuti più pericolosi nelle isole dove è più facile in caso di rivolta impadronirsi di ostaggi e dove il controllo è sempre meno probabile.
La Stampa 11 maggio 1974