Agenti del carcere sono sotto inchiesta per l'evasione in gruppo dei 7 detenuti
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STORIA Agenti del carcere sono sotto inchiesta per l'evasione in gruppo dei 7 detenuti 29/05/1973 

Il magistrato inquirente: "La fuga è stata organizzata nei minimi particolari e messa in atto con molta abilità" - Inquietanti interrogativi: perché carcerati ritenuti "pericolosi" lavoravano nel centro clinico con ampie possibilità di spostamenti?

Carcere sotto inchiesta per la evasione dei sette detenuti. Il sostituto procuratore della Repubblica dott. Savio ha interrogato Diego Puma, ricoverato al Maria Adelaide dopo la rovinosa caduta dagli spalti delle Nuove, e Andreino Fabris, bloccato da un agente di custodia mentre stava per fuggire in direzione di corso Inghilterra, insieme con gli altri cinque. Dal loro racconto ha potuto ricostruire le fasi della clamorosa evasione «organizzata» ha detto il magistrato « nei minimi particolari e portata a termine con molta abilità ».

Nel pomeriggio il dott. Savio ha cominciato a interrogare anche il personale carcerario — agenti, sentinelle, sottufficiali — con la formula della "comunicazione giudiziaria" Ciò significa che sono indiziati di reato, perché non avrebbero vigilato secondo quelle norme di prudenza e diligenza previste dal regolamento. Accanto all'inchiesta giudiziaria ne è stata subita aperta un'altra, di carattere amministrativo. Quale che sia l'esito dell'indagine della magistratura (riconoscimento di una responsabilità colposa o, nell'ipotesi più grave, dolosa), il personale addetto alla custodia degli evasi sarà in ogni caso sottoposto a un procedimento disciplinare, a meno che entro 90 giorni gli agenti interessati non riescano a riacciuffare i fuggitivi. In questo caso non incorreranno più in alcuna sanzione amministrativa.

In ogni caso, l'evasione in gruppo di domenica sera ripropone parecchi, inquietanti interrogativi. Innanzitutto, perché sette detenuti "pericolosi" (il Puma deve scontare una condanna per omicidio, gli altri sono rapinatori incalliti) erano ospiti del centro clinico pur non essendo, tranne due, ammalati? Come e noto, Lattanzio, Gasparella, Donadelli, Fabris e Settimo avevano funzione di scopini, cioè di inservienti addetti all'infermeria. Come tali, avevano la possibilità di muoversi con una certa libertà, spostandosi da un braccio all'altro. E ancora: con quale criterio un detenuto viene affidato a un reparto piuttosto che a un altro? Una volta era la procura della Repubblica che assegnava i compiti ai carcerati, in base agli elementi processuali di sua conoscenza. Adesso, invece, è l'amministrazione del carcere.

Un altro interrogativo: in questi giorni, accanto al centro clinico, si sta costruendo una nuova sala-colloqui. Nessuno ha pensato che le impalcature, gli attrezzi, le scale avrebbero costituito un facile passaggio per chi avesse intenzione di evadere? Domenica sera, infatti, è accaduto proprio questo: i sette detenuti, segata l'inferriata di una finestrella al primo piano del gabinetto oculistico, sono saliti sui ponti dei muratori e di qui, con un salto, hanno raggiunto gli spalti delle Nuove. Fissate con uncini le corde ricavate dalle lenzuola (unite tra di loro con nodi e cerotti) si sono calati da 8 metri sul corso Vittorio. E' andata male al Fuma, la cui corda ha toccato i fili della luce, facendolo precipitare al suolo, e al Fabbris, caduto tra le braccia di un agente di custodia. Due casi fortuiti, altrimenti anche per loro sarebbe stata la libertà. E' lecito domandarsi: perché è cosi facile evadere dalle Nuove?

Come mai la sentinella che passeggiava sul « camminamento » non si è accorta di nulla? Come mai, quando un passante, Pier Luigi Bedino, ha suonato al portone principale, e ha dato l'allarme: « Qui stanno scappando tutti », nessuno gli ha creduto, fino al momento in cui la sentinella non ha sparato alcuni colpi di mitra in aria?

Il Puma sarebbe dovuto uscire nel 1984, Lattanzio e Gasparella nel '76, Donadelli nel '75, gli altri erano in attesa di giudizio per gravi rapine. Individui, ripetiamo, pericolosi, che oggi sono pronti a difendere a tutti i costi la libertà rubata in modo tanto spregiudicato. L'inchiesta del dott. Savio dovrà rispondere a tutti questi interrogativi, mentre polizia e carabinieri danno la caccia, senza sosta, agli evasi.

Chi sono gli evasi? Si tratta di giovani dal passato turbolento, che hanno — come dicono gli avvocati — diversi trascorsi. Habitués delle aule di tribunale, sono individui per un verso o per l'altro destinati a tornarci. Il più noto del gruppo è Diego Puma, 42 anni. Fu protagonista di un famoso fatto di cronaca: uccise la madre della sua amante il giorno di Natale '61, e per questo fu condannato per omicidio in corte d'assise. Il secondo evaso, catturato con il Puma (che si è fratturato un braccio e un femore calandosi giù dalle Nuove ed è ricoverato al Maria Adelaide) è Andreino Fabris, di 23 anni: il 23 febbraio scorso abbatté con il calcio della pistola l'orefice Sergio Orlando nel suo negozio di via San Francesco da Paola, fuggendo con dieci milioni.

Banditi pericolosi. Il più in vista di tutti è senz'altro Sergio Settimo, 27 anni, accusato con il fratello Claudio dell'assalto al treno postale Ciriè-Lanzo. L'evasione è un vizio di famiglia. Infatti Claudio Settimo è evaso dal carcere di Moncalieri, dove era rinchiuso sotto l'accusa di furto. Si sospetta che sta stato proprio il fuggiasco a organizzare la fuga di ieri dal carcere torinese. Ed ecco ancora gli altri. Fortunato Marenco, 30 anni, accusato di varie rapine; nel milieu della mala è considerato uno specialista di radiotelefoni, è un po' l'ufficiale di collegamento durante le varie imprese della banda di cui fa parte. Adriano Donatelli, 30 anni, si è fatto un nome come ladro d'auto, ma anche come individuo duro, che gira sempre armato. Infine Antonio Gasparella e Daniele Lattanzio, entrambi diciannovenni. Sono stati arrestati cinque mesi fa, mentre preparavano un « colpo » in banca. Al momento della cattura avevano in auto maschere, coltello e pistola: tutto pronto, insomma. La loro amicizia si è rinsaldata « dentro », sono fuggiti insieme.

La Stampa 29 maggio 1973


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