Il giorno prima di essere arrestato Antonello Montante, forse immaginando che l’inchiesta a suo carico su cui da mesi non trapelava più nulla stava per arrivare a un punto di svolta per lui pericoloso, è andato ad Asti senza la scorta che da anni lo seguiva in ogni suo movimento, nella sede di una delle sue imprese. È rimasto lì per molto tempo, e il sospetto degli inquirenti è che abbia distrutto documenti in quantità, per evitare che finissero in mano agli investigatori. Così come ha fatto con decine di pen drive e Cd-rom che aveva con sé a Milano, prima di aprire la porta ai poliziotti arrivati per notificargli il provvedimento di cattura.
Anche di questo ha dovuto rispondere ieri fino a tarda sera, assistito dall’avvocato Nino Caleca, l’ex presidente di Confindustria Sicilia durante l’interrogatorio davanti al giudice di Caltanissetta che l’ha mandato agli arresti domiciliari (i pm avevano chiesto il carcere) per associazione per delinquere, corruzione, violenza privata, violazione di segreto, accesso abusivo a sistemi informatici. Reati che celano, secondo l’accusa, un’attività di spionaggio e dossieraggio realizzata per coprire le «disponibilità economiche occulte impiegate per foraggiare esponenti di rilievo della scena politica siciliana», nonché i «qualificati rapporti» con i mafiosi della sua terra d’origine.
Legalità «paravento»
Ma sul versante mafia a Montante basta la prossima archiviazione, se e quando arriverà, mentre sul resto si difende con vigore. Continua a sostenere di avere «sposato le istituzioni» e nega di aver avuto vantaggi, finanziamenti, o altre agevolazioni che possano giustificare le accuse che gli vengono mosse. Gli inquirenti, però, continuano a pensarla diversamente.
Nella richiesta d’arresto i pubblici ministeri della Procura nissena scrivono a chiare lettere che la tanto pubblicizzata «svolta legalitaria» di cui l’ex presidente di Confindustria Sicilia si fece testimonial, era nient’altro che «un mero paravento dietro cui cercare di nascondere, forte delle relazioni che era riuscito ad instaurare proprio portando il vessillo dell’antimafia, quei rapporti che aveva certamente intessuto e coltivato con esponenti di spicco della criminalità organizzata».
Il fatto che i pm ritengano di dover chiedere l’archiviazione per l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa, non ritenendo di aver raccolto prove sufficienti per sostenere un processo, non significa che non ci fossero contatti sospetti tra Montante e i boss di Serradifalco, il paese dov’è nato 55 anni fa. Anzi. Per gli inquirenti «è dimostrato», per dirne una, «che abbia goduto della protezione degli esponenti di Cosa nostra nello svolgimento dell’attività imprenditoriale».
Di qui la «strategia messa in campo per addivenire al sistematico screditamento» di chi potesse danneggiarlo o anche solo criticarlo, attraverso la raccolta di informazioni di ogni tipo, vere o false, riservate, segrete o segretissime, da utilizzare in caso di necessità.
Il sistema di potere
Un’attività che i suoi ex amici divenuti avversari conoscevano bene, tanto che l’imprenditore Marco Venturi confida a un amico, parlando di Montante: «Ma si possono fare i dossier! I dossier li fa Buzzi, li fa Carminati... cioè con questa logica pensi di ricattare le persone con i dossier?».
Il «sistema di relazioni» di cui ha conservato tracce in maniera quasi maniacale, con appunti dettagliatissimi su telefonate, sms, incontri di lavoro o di svago (a volte con l’indicazione di registrazioni anch’esse catalogate e archiviate), pranzi, cene e colazioni, appuntamenti di ogni genere con ogni tipo di personaggi (dai ministri in carica agli sconosciuti), serviva anche a preservare un vero e proprio «sistema di potere». In grado di esercitare, ad esempio, una «pesante ingerenza» sul governo regionale guidato da Rosario Crocetta, al quale l’imprenditore si vantava di non avere «mai fatto sbagliare una mossa».
Pentiti spiati
Nell’archivio custodito nella «stanza segreta» di casa sono state trovate perfino informazioni sui trasferimenti da un carcere all’altro di uno dei principali pentiti di mafia che avevano fatto dichiarazioni sul suo conto, Dario Di Francesco; informazioni aggiornate al 2015, con tanto di date delle trasferte per le udienze dei processi e dei permessi per uscire di prigione, ottenute attraverso illegittime interrogazioni alla banca dati della Polizia Penitenziaria. Ciò che allarma gli inquirenti è che i primi «accessi abusivi» sui pentiti risalgono a quando le rivelazioni sull’ex presidente di Confindustria Sicilia erano ancora segrete. Ma lui, «seguendo un modus operandi che gli è consueto, si era attivato per attingere informazioni che potessero poi risultare utili per fini non propriamente commendevoli».
Tra le persone prese di mira c’erano diversi imprenditori considerati ostili, sui quali Montante aveva composto dei fascicoli ricchi di informazioni tratte dai terminali o dai registri della polizia, sempre con la complicità di funzionari compiacenti. Sul conto di una delle persone finite sotto osservazione compare l’annotazione di un soggiorno di una notte in un albergo in compagnia di una donna, indicata con nome e cognome, con un’aggiunta considerata «particolarmente inquietante» dai pm: «Verificare come si chiama la moglie».
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