A un certo punto, nel corso di una requisitoria durata circa sei ore, il pm Maurizio Bonaccorso, incidentalmente, risponde a una domanda che tutti si pongono da quasi un anno. «L’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Montante non è stata archiviata dalla Procura di Caltanissetta. E ritengo che al momento non ci siano elementi per archiviarla».
Le indagini, dunque, sono in corso. E potrebbero avere degli sviluppi, sui quali ovviamente il sostituto procuratore non si pronuncia. Anche perché non è la sede giusta. Bonaccorso parla nel corso di un’udienza del processo con rito abbreviato a carico di Antonello Montante e di altri cinque imputati per associazione a delinquere finalizzata, fra gli altri reati, alla corruzione. E la notizia sull’indagine-madre viene fuori nell’aula bunker del Malaspina perché il pubblico ministero fa riferimento a un esposto presentato in Procura da Diego Di Simone, capo della security di Confindustria e “spione” di fiducia, in cui, fra le righe, si dà i per scontato che «l’indagine per concorso esterno a carico di Montante è stata archiviata».
E invece no. Bonaccorso lo dice forte e chiaro. Smentendo così gli auspici più volti espressi dai legali dell’ex leader di Confindustria e cioè che nell’inchiesta di Caltanissetta (partita nel maggio 2014) «l'iniziale ipotesi accusatoria non ha trovato alcuna conferma». Evidentemente non è così. O, per meglio dire, i magistrati e la squadra mobile di Caltanissetta continuano a scavare. E non hanno alcuna intenzione di fermarsi. Del resto anche nell’informativa di “Double Face” c’è un ampio capitolo dedicato ai presunti rapporti con Cosa Nostra. Con più di un riferimento anche agli accessi abusivi ai sistemi informativi (oggetto del processo) che per conto di Montante furono fatti sui collaboratori di giustizia che lo accusano: Carmelo Barbieri, Pietro Riggio e Aldo Riggi. Nell’archivio segreto dell’imputato, custodito nella “stanza della legalità” della villa di Serradifalco, sono state trovate informazioni sui trasferimenti da un carcere all’altro di uno dei principali pentiti di mafia che avevano fatto dichiarazioni sul suo conto, Dario Di Francesco. Dossier aggiornati al 2015, con le date delle trasferte per le udienze dei processi e dei permessi per uscire di prigione, ottenute attraverso illegittime interrogazioni alla banca dati della Polizia Penitenziaria.
Cosa hanno in mano i magistrati nisseni per lasciare aperto il fascicolo per mafia? Dalla Procura non trapela nulla. Ma è ovvio che, anche dopo la discovery dell’indagine per corruzione, il lavoro è proseguito. A fari spenti. E senza l’assillo di doversi proteggere dalla rete di spionaggio messa su anche per carpire notizie riservate proprio sull’inchiesta principale.
Ieri, in aula, il pm Bonaccorso ha concluso la requisitoria dedicata alle posizione due imputati: oltre a Di Simone, anche il poliziotto Marco De Angelis. L’accusa ha dimostrato la «catena» degli spioni, sostenendo che chi effettuava gli accessi abusivi ai sistemi informativi «non poteva non sapere che servivano a Di Simone, che a sua volta lavorava per conto di Montante». Con una mole notevole: oltre ai 40 accessi provati, il pm stima «una media di nove accessi ogni tre mesi» fra il 2009 e il 2016. Fra le curiosità emerse nell’udienza anche un dossieraggio del “sistema Montante” anche nei confronti di Grifa, la società che voleva rilevare gli stabilimenti Fiat di Termini Imerese. E fra le carte di una verifica (questa assolutamente regolare, anzi sacrosanta) effettuata dagli uffici di Gaetano Armao, allora assessore all’Economia del governo Lombardo, sulla società di auto elettriche, spunta fuori un elemento di criticità bizzarro quanto oggettivo: un contenzioso dell’attrice Anna Falchi per uno spot per Grifa. Non pagato, come risulta agli atti del processo Montante...
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