Si valutino, dice la procura al dipartimento della penitenziaria che sollecita un suo parere su Massimo Carminati, i rapporti che, in trent’anni di attività hanno legato «il Nero» a boss, terroristi e soldati semplici della criminalità organizzata e le protezioni di cui ha goduto da parte di apparati istituzionali. Poi si guardi ancora a come lui stesso ha impiegato i permessi premio di cui ha usufruito, qui e là, nel corso della precedente detenzione. Nel 2013, ricorda la procura, mentre scontava una pena alternativa al carcere lo troviamo (i carabinieri del Ros lo trovano e lo descrivono) impegnato nell’attività che contraddistingue Mafia capitale e che l’ 11 settembre scorso gli è valsa la condanna a 14 anni e sei mesi di reclusione.
Si consideri infine, aggiungono i magistrati Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, che Carminati può contare sulla libertà di molti suoi sodali, ormai fuori dal carcere. La possibilità di veicolare messaggi all’esterno è tuttora elevata insomma. Carminati, legato a Franco Giuseppucci, ex capo della banda della magliana, militante dei Nar con il controllo privilegiato delle armi in dotazione al gruppo è, secondo i pm, un vero e proprio brand della criminalità romana, capace di intimidire e generare omertà. Tutte ragioni per le quali è bene che torni al regime di carcere duro (41 bis) lasciato dopo la sentenza di I grado. A breve la decisione del ministero della Giustizia.
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